Se il piano Marchionne andasse a regime e se dunque davvero tra quattro anni si realizzassero 1,4 milioni di automobili negli stabilimenti italiani, il numero degli addetti necessario sarebbe in ogni caso inferiore a quello attuale. Se si considera la produttività polacca di cento auto per addetto, sarebbero sufficienti 14.000 dipendenti, 8.000 in meno degli attuali. Se invece si considerano i ritmi più blandi dei brasiliani (77 auto per addetto) sarebbero necessari 18.000 dipendenti, 4 mila in meno degli attuali.
Nel suo piano Marchionne ha già annunciato da tempo che entro il 31 dicembre 2011 cesserà la produzione a Termini Imerese. Dunque 1.500 dipendenti verranno tagliati in quel modo. Altri 500 verranno ridotti con la mobilità a Pomigliano: tutti i sindacati hanno già firmato l’accordo che consente la riduzione. Rimangono 2.000 eccedenze. La trattativa sul futuro degli stabilimenti italiani, che dovrà partire nelle prossime settimane, si occuperà anche di questa questione.
Non è detto che la riduzione di 2.000 persone nell’organico italiano di Fiat auto debba per forza avvenire in modo traumatico. Il caso della mobilità a Pomigliano come quello analogo di qualche mese fa a Cassino dimostra che ci sono strade relativamente indolori per accompagnare i dipendenti con maggiore anzianità alla pensione. L’età media dei dipendenti di Mirafiori ha ormai superato i 47 anni e tra pochi mesi sarà di 48. Siccome si tratta di una media è chiaro che nello stabilimento torinese esistono, ad esempio, consistenti possibilità di ricorrere a provvedimenti di prepensionamento. Se ci sono soluzioni per attutire l´effetto sociale della riduzione, più complesso è il ragionamento di prospettiva sugli stabilimenti.
Il caso Pomigliano, tutto sommato, fa storia a sé. Perché è chiaro che se Marchionne non riterrà più utile realizzare in Italia le Panda, ha a disposizione molti altri stabilimenti nel mondo in cui risolvere il problema. Il trasloco si potrebbe realizzare in poco più di un anno. Avrebbe, come ha riconosciuto lo stesso ad, un impatto sociale devastante.
Diverso è il caso di Mirafiori. Chiarito che i due stabilimenti italiani destinati alla produzione di massa sono Melfi e Cassino, nell’area torinese si potrebbero realizzare produzioni di volume più contenuto. In quel caso si giustificherebbe la riduzione degli organici. Se invece Marchionne realizzerà davvero, come promette, grandi volumi anche a Torino, è chiaro che a quel punto, pensionati i più anziani, dovrà addirittura assumere nuovo personale.
Rocco Palombella, a capo della Uilm, uno dei sindacati che ha firmato l’accordo di Pomigliano e che è rimasto in questi mesi al tavolo della trattativa per introdurre nel settore auto i cambiamenti chiesti da Sergio Marchionne, non nasconde l’irritazione per l’intervista dell’amministratore delegato della Fiat a Fabio Fazio. Palombella non ha gradito il fatto di essere venuto a sapere in televisione quello che chiedeva da mesi, cioè degli aumenti di stipendio prospettati da Marchionne agli operai. Né ha gradito la “bugia” su Mirafiori che avrebbe già gli stessi turni chiesti per Melfi. E pianta un paletto: “Basta con gli atti di fede, altrimenti è a rischio il consenso degli operai”.
Adesso l’amministratore delegato deve dire a chiare lettere dove investirà i 20 miliardi di euro di cui si parla dalla scorsa primavera e deve chiarire se e quando uscirà un nuovo modello per l’auto. Infine, alla teoria che fuori dall’Italia convenga di più produrre auto, il numero uno dei metalmeccanici Uil non ci crede. Anzitutto, sostiene, perché è Marchionne a scrivere il contrario, nei suoi piani.