Più promettenti i modelli che nasceranno dalla piattaforma della Giulietta ma i 280.000 SUV che dovrebbero uscire da Mirafiori sembrano davvero tanti. Forse troppi pensando non tanto ai modelli analoghi di Mercedes, BMW ed Audi quanto piuttosto allo strapotere, in Europa e negli Stati Uniti, dei coreani del raggruppamento Hyundai-Kia.
Negli Stati Uniti la situazione è decisamente migliore. Grazie ai finanziamenti dell’Amministrazione americana Chrysler si è ripresa. Ma gli incrementi delle vendite vanno rapportati ad un periodo nel quale la casa americana era praticamente fallita. Sarà il 2011 l’anno della verità, tenendo conto che l’assalto al mercato europeo non sarà facile perché nel 2010 le vendite di Chrysler e Jeep non hanno raggiunto le 2000 unità/mese. E se il Brasile rimane il punto di forza della Fiat con una leadership che sembra resistere ad una concorrenza sempre più agguerrita, c’è pur sempre da considerare la totale assenza dal mercato cinese, che quest’anno potrebbe raggiungere i 18 milioni di unità, e da quello Indiano, in prospettiva altrettanto allettante e dove la joint venture con la Tata sembra in stand by.
“Ciofeca”, a questo punto, sembra più una imprecazione che un giudizio sulla bontà della comunicazione Fiat. Anche perché a questa valutazione si aggiunge un forte risentimento verso i tedeschi “arroganti: quando volevo comprare la Opel non me la hanno data perché ero italiano”. Ma forse anche perché non c’erano soldi da mettere sul piatto e, sul piano della tecnologia e della competitività dei modelli, Fiat non avrebbe avuto nulla da insegnare.
Un risentimento più che comprensibile perché solo con la Opel si sarebbe potuto costruire quel tavolino a tre gambe che avrebbe offerto la piena stabilità al piano di Marchionne. Opel, infatti, avrebbe portato il prodotto e avrebbe fatto da decisivo contrafforte per una strategia altrimenti solo finanziaria dell’azienda.
Così non è stato ed ora qualcuno, anche a Torino, pensa persino il Marchionne possa essere solo una (ben pagata) pedina di un gioco più grande. A lui il compito di assicurare coerente produttività tra tutti gli stabilimenti del gruppo e poi, a lavoro concluso, spazio ad un manager capace di alimentarli con modelli capaci di avere successo sul mercato.