ROMA – L’uno, Mario Monti, con i ragazzi al Forum Nazionale, l’altro, Mario Draghi, alla Sapienza con gli studenti per ricordare Federico Caffè, il professore di Economia scomparso 25 anni fa.Entrambi a Roma, entrambi hanno parlato di giovani generazioni, di crescita, di lavoro, dei rischi, delle opportunità. Mentre il primo, anche “se non vendo promesse” ha puntualizzato, parlava di 8 miliardi da destinare all’occupazione degli under 35, il secondo, tra le altre cose, invitava le banche a fare il loro mestiere, finanziare l’economia, soprattutto utilizzando il fiume di soldi che come capo della Bce gli ha erogato.
La concomitanza degli interventi spinge a riflettere su una distanza, diciamo così, strategica tra i due. Nessuna polemica, toni misuratissimi, nemmeno per sbaglio l’accenno all’altro. Però, parlando di crescita, e fermi restando l’ineludibilità di rigore sui conti e riforme, stride la differenza di peso tra quegli otto miliardi di fondi strutturali Ue ancora non spesi e di indecifrabile destinazione e il fiume di miliardi delle aste Bce cui le banche italiane hanno attinto a piene mani. Per farci cosa? Per ricapitalizzare certo, per rendere più solida la navigazione tra marosi finanziari e rischi di default. Per acquistare titoli di Stato italiani, come gli ha ordinato il Governo, per allentare la morsa speculativa sul nostro debito sovrano. Ora che il pericoloso credit crunch, la mancanza totale di liquidità, sembra chiedersi Draghi, cosa aspettate a prestare soldi alle imprese, alle famiglie, a favorire gli investimenti, in una parola, a far ripartire l’economia?