Viaggio tra i volti e le voci di coloro, che a Pomigliano, hanno sfilato ieri con la fiaccola in mano a favore dell’accordo con l’azienda. Sono per lo più capi reparto, impiegati. Pochi gli operai, per lo più sono precari che si appigliano a quell’ultima speranza di non perdere almeno questo straccio di lavoro senza garanzie. “Se chiude Pomigliano perdo il lavoro, ho moglie e figli, abbiamo deciso di aderire alla manifestazione” è una delle testimonianze raccolte dalla Repubblica.
Sono voci che urlano “accettiamo pur di continuare a sopravvivere lavorando alla Fiat” e che ieri hanno deciso di marciare in qualche migliaio per far vedere che c’è un’altra Pomigliano che quell’accordo, anche se anti sindacale, lo vuole. Dai racconti che riporta La Repubblica, si capisce anche come in realtà è nata l’idea di questa manifestazione, che a tanti ha fatto venire in mente la marcia dei 40mila del 1980. Viene raccontato che è stato il braccio destro di Sergio Marchionne, l’ingegnere Stefan Ketter, a dare l’idea. Spaventato per l’imminente referendum avrebbe dato l’allarme ai capi reparto: “Mobilitiamoci, altrimenti le adesioni al no cresceranno”. Ne è seguito l’incontro con il direttore Sebastiano Garofalo, il vertice con 15 dirigenti, e il tam-tam con tutti gli uomini dei reparti. I capi reparto intervistati da Repubblica confermano questa versione anche se dicono: Ketter ha reso tutto più veloce ma noi ci avevamo già pensato.
Per chiarire le posizioni del “fronte del sì”, per tutte la voce di Saverio Terracciano, che intervistato da Repubblica afferma: “Dobbiamo ragionare tutti come imprenditori. Chi investirebbe su di noi? Sono stato in Polonia, non credono che siamo capaci di lavorare come loro».