ROMA – I Comuni sono senza soldi e i sindaci battono cassa: gli aumenti delle tariffe comunali hanno toccato tante città italiane, con punte che hanno toccato il 79%, come nel caso di Enna. I conti in tasca ai comuni italiani li ha fatti l’Ifel (il centro studi dell’Anci), su un campione di 66 comuni medi e grandi.
Secondo i risultati di questa indagine, che sono stati descritti sul Corriere della Sera da Mario Sensini e Sergio Rizzo, le città che hanno dovuto effettuare i rincari più onerosi per i propri cittadini sono: Messina (+67,4%), Alessandria (+42%), Giugliano in Campania (+40,9%), Rieti (+ 37,2%), Sondrio (+31,6%).I dati sono confrontati con i rilevamenti del 2008-2009.
Quelli che invece dovrebbero abbassare le tasse in maniera più evidente sono: Imperia (-34,5%), Palermo (-21,2%), Ferrara (-20,2%), Treviso (-16,2%), Avellino (-15,3%), Trapani (-13,4%).
Sensini e Rizzo hanno spiegato che questo vuoto nelle casse comunali è dovuto principalmente al taglio dei trasferimenti pubblici deciso dallo Stato: un danno complessivo da un miliardo e mezzo di euro. E d’ora in avanti, scrivono i due, “sarà sempre peggio. Perché i trasferimenti dello Stato saranno aboliti del tutto”.
Grazie al federalismo municipale, ai Comuni “torneranno le tasse sugli immobili, ma non sulle prime case che resteranno escluse. Le entrate comunali arriveranno, dunque, dalle imprese ed essenzialmente dai non residenti. I sindaci avranno a disposizione due nuove leve: l’Imposta municipale unica, sul possesso degli immobili, e l’Imposta secondaria (sulle attività commerciali). Anche se il decreto sul fisco municipale prevede che tutto avvenga senza aggravi per i contribuenti, è chiaro che con il nuovo sistema fiscale qualcuno ci guadagna ed altri ci perdono”.
Ci guadagnano i proprietari di case, ci perdono le imprese: con l’aliquota Imu (che accorpa l’Ici e l’Irpef) fissata allo 0,76%, infatti, i proprietari di casa potranno avere notevoli risparmi sulle tasse da pagare. Sensini e Rizzo fanno un esempio concreto: “Su una casa di 65 metri quadrati nel centro di Milano graverà una imposta di 643 euro l’anno. Oggi il proprietario paga invece, fra l’Ici sopravvissuta sull’abitazione non di residenza e l’Irpef sul reddito da fabbricato, da un minimo di 790 a un massimo di 950 euro a seconda del reddito complessivo. In teoria, quindi, c’è un guadagno che va da 147 a 307 euro. Anche perché l’Imu, oltre all’Ici, assorbe anche la quota dell’Irpef”. Al contrario, l’Imu dovrebbe penalizzeare le attività produttive.
Altra novità del federalismo è quello della cedolare secca: una quota fissa che consentirà a chi affitta casa di pagare imposte più basse. L’obiettivo, dicono Rizzo e Sensini, è quello “di far emergere l’enorme quantità di abitazioni affittate in nero. Pare incredibile, ma le statistiche ufficiali dicono che su 30 milioni di immobili appena 2,7 milioni di abitazioni sono affittate. E ben 4,2 milioni sono «ufficialmente» vuote”.
Ai sindaci, dicono i due, “arriverà anche una parte dell’Iva. Piccola (pari al 2% del gettito Irpef), ma significativa. E qui si apre un’altra vicenda. Sul perché si sia scelta la «compartecipazione» all’Iva anziché all’Irpef, tassa decisamente più legata al territorio, resta un mistero. Certamente questo presenta qualche problemino, come stanno scoprendo i tecnici del governo. Non fosse altro perché i dati comunali sull’Iva non esistono. E quelli provinciali in fase di elaborazione stanno dando risultati forse non sorprendenti, ma sicuramente sconcertanti. Per esempio, salta fuori che l’Iva riscossa a Crotone, 61 mila abitanti, è la metà di quella incassata a Legnano, città di 58 mila residenti”.