ROMA – Camminando sui pezzi vetro, Francesco De Gregori è giunto al traguardo dei sessant’anni che compie oggi 4 aprile, forte del suo istinto di cantastorie, e di una rinnovata voglia di divertirsi sul palco, come dimostra il tour Work in Progress insieme a Lucio Dalla.
E in quarant’anni di canzoni, quella del Principe è stata certamente ”un’evoluzione nella continuità ”, scrive Claudio Fabretti in “Fra le pagine chiare e le pagine scure” volume pubblicato dall’Arcana che ne analizza biografia e opera, in libreria dal 30 marzo.
Canzoni che fanno ancora presa sul pubblico, anche quello più giovane, e che l’autore classifica in due filoni: quello lirico-letterario-fiabesco e quello narrativo-storico-politico, che però spesso si intersecano tra loro. Dalle prime ballate folk agli album storici e alla dimensione concertistica dell’ultimo periodo, è un viaggio nel songbook degregoriano che si snoda attorno ai suoi principali nuclei tematici, in bilico tra personale e sociale, realtà e fantasia.
Tenendosi sempre a rigorosa distanza di sicurezza dalle mode e dai rituali dello show business. Si parte dall’inizio: il diciassettenne Francesco De Gregori, infreddolito e preoccupatissimo, si infila nei vicoli di Roma , giù dalle pendici del Gianicolo. Sta per esibirsi per la prima volta con la sua chitarra. Ad accompagnarlo è il fratello Luigi, alias Ludwig, cantautore country-folk. Destinazione, una cantina di via Garibaldi, il Folkstudio, ai tempi crocevia obbligato per ogni folksinger o aspirante tale. Scuola di musica ma anche di vita, officina di amicizie vere (Venditti, Lo Cascio e Bassignano).
”Avevo le dita congelate e non presi un accordo giusto sulla chitarra”, racconterà, ”e a metà di Buonanotte Nina per l’emozione mi venne un groppo in gola e mi dovetti fermare e ricominciare da capo. Qualcuno in mezzo al pubblico cominciò a tossicchiare, io diventai rosso e in qualche modo arrivai fino alla fine e scesi dal palco convinto che mai più avrei accettato di salirci”. Quello di De Gregori, ”dylaniano fino al midolllo”, è un percorso che, lungo le curve della memoria, attraversa le fasi più oscure e controverse della storia italiana: dal fascismo agli anni di piombo, da Piazza Fontana a Tangentopoli. Non solo. Perché nei suoi versi si è compiuta anche una rivoluzione lessicale decisiva per la canzone italiana.
Dalle sue prime canzoni d’amore, ”virate a tinte fosche”, secondo la lezione di De Andrè, altro suo grande modello, come ‘Rosso Corallo’. Passando per ‘Pezzi di vetro’ e ‘Alice non lo sa’, che farà decollare la sua carriera, liberandolo dall’abbraccio protettivo del Folkstudio. Nelle sue canzoni d’amore, forse si è ”consumata la sua più importante rivoluzione semantica e concettuale”.
‘Rimmel’ è l’archetipo di questo nuovo approccio basato sulla rottura degli argini angusti del rapporto di coppia, in cui l’amore è l’unica prospettiva di salvezza, ma anche una possibile dannazione permanente. Mai un addio era stato raccontato in modo così tagliente (”ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo e la mia faccia sovrapporla a a quella di chissà chi altro”).
Esattamente l’opposto di quel che andranno vaneggiando quei critici che imputeranno all’intero Rimmel un eccesso di svenevolezza e romanticismo”, scrive Fabretti. Ma all’epoca mescolare politica e sdolcinatezze ”non rientrava nello schema del cantautore impegnato”, spiegherà De Gregori .
Seconda, per fraintendimenti, alla sola Viva l’Italia, un’altra ballata sentimentale dell’album, Buonanotte Fiorellino, che resterà una delle canzoni più amate/odiate di De Gregori. ”Inchiodato per chissà quanto tempo ancora allo stereotipo del cantautore con la k, del vate dell’impegno e del rigore, attaccato altrettanto spesso, da sinistra, per la presunta leziosità di alcuni suoi testi”, De Gregori, sottolinea l’autore, è sempre andato avanti a testa bassa, incurante dei fraintendimenti e dei significati a perdere.
Il cantautore romano ”insospettisce subito i pasdaran della sinistra. E’ comunista, ma non abbastanza. Del resto, quel suo sussiego altezzoso e aristocratico è già un indizio di eterodossia. Poi è borghese, piace alle ragazze. In più, fatto ancor più imperdonabile, comincia a vendere molti dischi”.
Dopo 40 anni sul palco, ora il Principe sembra più affabile con il pubblico, meno serioso e ingessato. In un’intervista di qualche anno fa ha confessato: ”Ora mi dà meno fastidio incontrare la gente, ho imparato l’autoironia. O forse da domani tornerò ad essere la solita testa di cazzo”..