Anche qua soldi di spese pubbliche gonfiate, ma non per metterseli in tasca fregandoli ai cittadini dalla cassaforte di partito, ma succhiandole dal capitolo opere pubbliche, che sempre i cittadini pagano.
Questo è lo scenario nel quale si va a votare e dove i sondaggi esplodono non come fuochi artificiali che illuminano e chiariscono quello che sta per capitare, ma come quei segnali che tanto per restare nel clima degli anniversari partono dalla tolda del Titanic e annunciano che la nave sta per affondare.
La nave dei partiti politici, in viaggio nel Golfo di Genova, sembra proprio in mezzo a una tempesta che non si placa. La battaglia al ribasso tra i tredici candidati sembra quasi la prova del nove di questo inesorabile inabissamento e puoi pure divertirti a circolare per i luoghi dove lo scontro politico si consuma per trovare conferme.
Provare per credere. Arriva a Genova il Giuliano Pisapia, sindaco di Milano, che un anno fa ha scoperchiato la capitale lombarda, mandando a casa nell’ordine il candidato democrat Tito Boeri e poi la zarina Letizia Moratti e viene a suonare la grancassa per il suo possibile epigono, Marco Doria, candidato a copiare il suo exploit, trionfante nelle Primarie di coalizione e pronto a infilzare i concorrenti della Destra e del centro, per altro non supportati dalla trionfale tradizione meneghina.
Qui la Sinistra governa ininterrottamente da 22 anni e salvo una pausa tra il 1985 e il 1990, sempre dal 1974 in avanti. E cosa ti combina il Pisapia? Tira per il collo il Pd genovese, perchè alla maximanifestazione del’accoppiata con Doria sono assenti le leader del Pd e in particolari le sue sfidanti sconfitte clamorosamente a febbraio, Marta Vincenzi la sindaco uscente e Roberta Pinotti, la senatrice arrivata terza in quella tenzone.
Il sindaco milanese tira fuori dai denti quello che tutta la città di sinistra sta osservando, lo scarso calore e la intermittente partecipazione con la quale il Pd sta alle spalle del candidato scelto nella pre selezione. Un programma di coalizione vero e proprio, a venti giorni dal voto, non è ancora uscito e l’erede di Andrea Doria sembra più impegnato a trovare una sua strada che a mettere insieme i cocci della maggioranza di sinistra. La “continuità” con la giunta precedente e, quindi con il decennale governo di Giuseppe Pericu, il sindaco Pd che venne prima della Vincenzi e che da lei fu bacchettato ininterrottamente, è già andata a farsi benedire. Forse si è persa subito sui viadotti e nei tunnel della Gronda, la tangenziale che Autostrade dovrebbe costruire per sturare Genova, della quale si parla da venti anni, alla quale manca solo il Via ambientale e che Marco Doria non ha ancora detto se vuole o no, beccandosi l’epiteto più efficace di tutta la campagna elettorale: “grondivago”.
Insomma il Pd non spinge abbastanza il suo leader, che paradossalmente si trova meglio insieme all’Idv, alleato della Vincenzi, ma capace di sgambettarla fino all’ultimo giorno. E ogni giorno qualcuno del Pd o vicino al suo apparato annuncia di preferire a Doria, Enrico Musso, il candidato più trasversale dello schieramento, ex Pdl, oggi campione “civico” appoggiato dal terzo polo di Casini-Fini-Rutelli, ma sopratutto liberal e riformista. Nello stesso Pd consegne segrete raccomandano addirittura di disgiungere il voto, indicando Musso per il ruolo di sindaco e scegliendo i candidati Pd per il Consiglio.