Può accadere, infatti, che due formazioni concorrenti non essendo autosufficienti al Senato (alla Camera il problema non si pone perché il premio viene attribuito su base nazionale e non regionale) decidano di allearsi al fine di costituire una maggioranza che il voto non ha sancito.
Se, come come tutto lascia prevedere al momento sulla base dei sondaggi, Pd e alleati non avranno la maggioranza al Senato, la governabilità, per quanto traballante, potrebbe essere assicurata solamente (e brevemente) da un patto tra Bersani e Monti. I quali, pur invocandone l’inevitabilità, smentirebbero la loro alterità, per dar vita ad un pasticcio indigesto ai rispettivi elettorati.
Che il legame tra sinistra e centristi, a prescindere dalle forme che assumerà, sia nell’ordine delle cose, si evince dall’atteggiamento che hanno assunto nel confrontarsi: da avversari che sanno di doversi incontrare, nonostante le fibrillazioni degli ultimi giorni dovute alle polemiche scaturite dallo scandalo del Monte dei Paschi di Siena. Certo, resta la preconcetta ostilità di Vendola e della Cgil nei riguardi del Professore, ampiamente ricambiata, ma Pd e Monti una qualche forma di composizione dovranno ingegnarsi a trovarla se non vogliono che la legislatura duri meno di un anno, con buona pace di Fini e di Casini che inevitabilmente faranno da stampelle alla sinistra. Non è detto che il progetto riesca. Ma non essendovi la possibilità di formare maggioranze alternative – la soglia è di 158 senatori – non resterebbe che tornare al voto.
E allora? Più perniciosa delle elezioni a breve scadenza sarebbe soltanto un’altra “grande coalizione”. Dal novembre 2011 molta acqua, per lo più inquinata, è passata sotto i ponti della politica italiana e non v’è emergenza che tenga in grado di rimettere su un teatrino di quart’ordine. Consapevoli della catastrofe politica che si prospetta, è fatale che gli investitori si tengano alla larga dall’Italia, che l’Unione europea riprenda a guardarci con diffidenza, che il Fondo monetario internazionale paventi effetti disastrosi derivanti da una recessione fuori controllo aggravata da una crisi politica senza sbocchi.
Si tornerà, dunque, alle elezioni? Sarebbe la sola cosa da fare. Ma con una seria legge elettorale. Impossibile? Qualcuno dovrà pure farla. Magari, forzando la Costituzione, addirittura per decreto. Lo stato di necessità impone l’eccezionalità. Non c’è altra soluzione. A meno che non si voglia ripetere in farsa la tragedia di Weimar con la prospettiva di un comico o di un demagogo a Palazzo Chigi, in attesa che la rivolta popolare divampi.