Risarcirli con soldi e risorse private? Si può e si deve. Troppo storto è l’albero della redistribuzione del reddito nelle società occidentali. Sacrosanta e ineludibile è la richiesta di maggiore equità, una volta si diceva giustizia, sociale. Ma i ricchi sfondati non sono l’un per cento e poi il restante 99 per cento tutti innocenti e con le tasche vuote. Anche qui bisogna avere cuore e intelletto per sapere e dire con chiarezza a chi togliere: non solo banchieri e plutocrati ma professionisti, professori, commercianti… Gente comune, gente di casa, gente di casa, anche casa dei giovani indignati.
E poi questa storia del debito. “Il debito non è nostro”. “No alla Bce, no all’austerità”. “Viva l’insolvenza”. Così gridano in ottima fede gli indignati. Fede ingenua e consolatoria. Di debito ha vissuto e prosperato tutta la società. Il debito è nel biglietto del bus che costa un terzo di quello che costa il trasporto pubblico. Il debito è nel costo “politico” della scuola e dell’università. Il debito è stato il motore e la benzina dei consumi e dei bisogni che i giovani giudicano insopprimibili perchè i padri ne hanno goduto. Il debito è stato ed è la farina e l’olio del consenso politico e sociale.
Il debito è quel che tiene in piedi e ha costruito l’enorme montagna degli 800 miliardi di spesa pubblica che non finiscono nelle tasche dei banchieri ma che irrigano con mille rivoli la società. Il debito che è di tutti, nelle tasche di tutti e che va ripagato. Altrimenti non avranno i giovani indignati la remissione dei debiti evangelica ma l’impossibilità di un mutuo per la casa, di un finanziamento per l’impresa, di una assunzione con un contratto vero. Gridare, inneggiare all’insolvenza è turibolare al disastro e alla miseria. Se solo i giustamente indignati avessero cuore e intelletto per esigere chi e come il debito ripaga.
E questa storia delle banche, di “Bankitalia occupata”. E dei mini assalti là dove ci sono le carte e i documenti. E’ tutto nuovo, internet e tweet, iPad e la rete…ma non proprio tutto nuovo. Una volta si chiamavano jacqueries, erano le rivolte di jacques il contadino che non ne poteva più. Assaltava comuni e prefetture dove c’erano i documenti di proprietà e d’anagrafe, bruciava tutto. Si scaldava a quel fuoco per due giorni, una settimana e poi tornava a lavorare nei campi spezzandosi la schiena come prima. La crisi, la grande crisi non delle banche ma di un modello economico e sociale basato sul debito, la crisi della democrazia della spesa è come ogni vera crisi di sistema insieme dramma e occasione.
Il treno sta deragliando, i giovani indignati sono stati lasciati a piedi. Dovrebbero apprendere la fatica ed elaborare la gioia della posa di nuovi e diversi binari. Più equi, più sostenibili. Non occupare la stazione e magari assaltarla quella stazione da cui l’ultimo treno se n’è andato mollandoli. Ci vuole cuore e intelletto. Altrimenti si è solo bravi figli danneggiati e abbandonati, bravi figli di mamma appiedati che imprecano contro l’invenzione delle ferrovie.
