Si dirà: ma da dove vengono i soldini per fare tutte queste belle cose, specialmente in una fase, come l’attuale, di crisi della finanza pubblica e pure di quella d’impresa? A Ichino è riuscita la quadra, come direbbe Umberto Bossi: “Il finanziamento delle attività di riqualificazione e collocamento è sostenuto dalla Regione, con il contributo del Fondo sociale europeo. Il finanziamento del trattamento di disoccupazione è a carico dell’impresa che licenzia”. A quest’ultimo proposito, però, va aggiunto che per le aziende è un costo ben temperato, non una catastrofe. Infatti nel primo anno di disoccupazione l’indennità, pari al 90 per cento della retribuzione, è in buona parte costituita dai già esistenti trattamenti di disoccupazione (quello ordinario è pari al 60 per cento dello stipendio per otto mesi, quello speciale, praticato per l’industria, all’80 per 12 mesi). L’azienda deve “solo” integrare questi trattamenti e, siccome essi scadono dopo un certo numero di mesi, sarà interessata, tramite l’agenzia, a curare l’efficienza dei servizi di riallocazione, onde evitare i maggiori costi di una disoccupazione troppo prolungata.
Il beneficio del predetto meccanismo di garanzia viene “scambiato” con l’eliminazione di ogni controllo giudiziale sulla giusta causa e accompagnato, per coloro che hanno lavorato almeno un anno, da un’indennità pari a un mese per ogni anno di anzianità (tanto più “anziani”, tanto maggiore l’indennità. Il giuslavorista Ichino ha anche calcolato il costo complessivo del licenziamento nell’ipotesi minima (sei mesi di disoccupazione) e in quella massima (mancato ricollocamento). Nel primo caso ammonterà a zero, nel caso di un licenziamento dopo vent’anni si arriverà a 25 mensilità di stipendio più il costo del contratto di ricollocazione (tra il 230 e il 415 per cento del reddito annuo lordo). Contemporaneamente vi sarà però un risparmio nei costi aziendali: si provvederà infatti a una drastica riduzione dei contributi versati dalle imprese per la cassa integrazione, passando dal 3 allo 0,75 per cento del costo del lavoro, considerato che gran parte di questi contributi finisce a finanziare altre spese. Per le aziende significherebbe risparmiare in media circa due miliardi di euro all’anno.
I parametri possono venire variati all’infinito, ma l’obiettivo resta unico e meritevole di essere perseguito: consentire una notevole flessibilità in entrata e in uscita del mercato del lavoro, offrendo al contempo garanzie economiche sostanziose ai lavoratori espulsi: le strade indicate da Boeri, Garibaldi e Ichino meritano di essere seguite, con tutte le variazioni sul tema che la fantasia di politici ed economisti sarà in grado di suggerire. Solo così si potrà dare una risposta sulla riforma di assunzioni e licenziamenti all’altezza dell’ultimativa richiesta arrivata dall’Eurotower.
