La Corte europea di giustizia ha condannato l’Italia per la legge della Regione Veneto sulla caccia. Visto che la Regione Veneto ha adottato e applicato una normativa che autorizza deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici, senza rispettare le condizioni stabilite dalla Cee, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, la Repubblica italiana, si legge nella sentenza, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti.
Secondo i giudici europei, la quantità di uccelli delle specie che possono essere cacciate in base alla legge regionale 13/2005 ”sono comunque nettamente superiori al limite indicato dalla direttiva”. La determinazione delle quantità ”effettuata sulla base di un dato aleatorio”, cioè il fatto che non tutti i cacciatori cacceranno le specie oggetto della deroga, ”non risponde alle esigenze scientifiche e non rispetta il principio di certezza del diritto”, rilevano i giudici Ue.
Alla Corte del Lussemburgo aveva fatto ricorso la Commissione. Per l’esecutivo Ue, la legge della Regione Veneto non era conforme alla direttiva sotto vari aspetti. Anzitutto, rilevava l’eurogoverno, indicherebbe esplicitamente le specie di uccelli che possono costituire indifferentemente oggetto di una deroga (passero, passera mattugia, cormorano, fringuello, peppola, storno e tortora dal collare orientale).
Ma, osservava la Commissione, le prime cinque specie menzionate non sarebbero elencate nella direttiva, mentre le ultime due, sebbene indicate, non potrebbero essere cacciate in Italia. Le specie di cui è autorizzata la caccia sarebbero inoltre identificate ”in via generale ed astratta e senza limiti temporali”. Oggi la Corte ha sostanzialmente dato ragione alla Commissione. Nel luglio scorso i giudici Ue avevano condannato l’Italia anche per la legge applicata in Lombardia che autorizzava, in deroga, l’attività venatoria a quattro specie protette: fringuello, peppola, pispola e frosone.
