La “bocciatura” dell’italiano da parte dell’Unione Europea, che ha penalizzato la nostra lingua nei concorsi per la selezione del personale, ha suscitato annunci di ricorso da parte del ministro per le politiche europee, Andrea Ronchi e non smette di generare polemiche. E l’Italia si divide tra i pro e i contro.
“La tradizione culturale va difesa”, sostiene chi è favorevole alla “protesta antidiscriminazione”, mentre i contrari ritengono ormai anacronistica la lotta per l’italiano, e credono sia molto più importante e costruttivo imparare lingue più diffuse a livello mondiale, come l’inglese.
La questione fondamentale non è dunque soltanto legata alla lingua ma al peso che l’Italia ha rispetto agli altri paesi europei. Le ragioni dei pro, infatti, rimandano anche al ruolo dell’Italia quale socio fondatore dell’Unione e sostenitrice dell’europeismo. L’italiano è una delle lingue più studiate nel mondo, la quinta – rivendicano – e oggi è considerata la terza lingua classica e universale dopo il greco e il latino. Per loro dunque, un’emarginazione ancora più eclatante.
Una decisione che secondo i favorevoli ha riflessi importanti anche sull’economia. I bandi per l’assegnazione dei fondi europei alle aziende italiane, infatti, escludono la lingua italiana creando non poche difficoltà per le piccole e medie aziende. La goccia che ha fatto traboccare il vaso per loro è poi il recente concorso bandito dall’Ufficio di selezione del personale europeo che prevede prove soltanto in inglese, tedesco e francese con il rischio che siano preferiti i parlanti di quelle lingue.
Ma la critica si estende anche all’Italia stessa, che per anni ha trascurato la propria lingua, tollerando ogni arbitrio in nome di una presunta libertà . Di qui, forestierismi inutili che a detta dei critici avrebbero sostituito la lingua italiana nella sua purezza. Secondo gli amanti dell’italiano e della sua salvaguardia, infine, “occorre garantire presenza e qualità della nostra lingua in tutti i settori della società civile, nelle scuole, nelle università e nei mass media per poter essere apprezzati all’estero”.
Di parere contrario, chi crede che l’italiano debba lasciar posto a lingue più vicine all’oggi – come l’inglese – e meno radicate nella tradizione culturale, seppur meravigliosa. La battaglia di Ronchi in difesa dell’utilizzo della lingua italiana all’interno della modulistica europea e nelle prove dei concorsi a loro appare fuori luogo. Secondo i critici della decisione bisognerebbe battersi non per reintrodurre l’italiano tra le tre lingue che vantano uno statuto privilegiato (insieme a inglese, francese e tedesco), ma per far sì che francese e tedesco siano declassate. Per loro è l’inglese la lingua che dovrebbe prevalere e gli italiani dovrebbero impararla meglio invece di difendere a tutti i costi la loro.
La tesi dei contro, infatti, rimanda alle difficoltà che gli italiani incontrano quando devono utilizzare l’inglese. La vera emergenza da affrontare, per loro, non è la penalizzazione della nostra lingua.
La stessa prospettiva di facilitare l’accesso dei giovani italiani ai concorsi europei, che ha giustificato l’iniziativa del ministro lascia perplessi i contrari. Tra gli italiani vi sono eccellenti imprenditori, sostengono, ma forse non sono altrettanti quelli in grado di far funzionare un apparato pubblico.
“Le nuove generazioni dovrebbero guardare al mercato e alla modernità ”, secondo i più critici dell’italiano. Una modernità data dalla conoscenza di più lingue diverse e forse, non dalla continua lotta per la propria.
