Ormai la rottura è vicina, la crisi istituzionale alle porte, le elezioni anticipate un miraggio non più lontano. Silvio Berlusconi ha accantonato i propositi di ricucire il partito e la maggioranza: dopo questa lunga estate vede solo l’alternativa di una crisi di governo. E la sua parola d’ordine è: polverizzare i ribelli, leggi i finiani, soprattutto ora che minacciano di rivedere le regole del gioco per chi fa politica e possiede giornali e tv. Una provocazione che il premier non ha intenzione di raccogliere. E quindi, avanti tutta verso la crisi istituzionale forte della convinzione che: “Se anche (Fini, ndr) non si dimetterà dalla presidenza della Camera, alcuni dei suoi torneranno con noi”. E contemporaneamente si punta tutto su questa faccenda di Fini e della casa a Montecarlo, si continuano a chiedere le sue dimissioni, ha puntare il dito, a dire “il suo giustizialismo gli si è ritorto contro”. A scaldare ancora di più, insomma, il clima interno alla maggioranza.
In prima linea in questa campagna, che è soprattutto una campagna elettorale, contro l’ex alleato Fini ci sono i giornali che militano intorno al Pdl: “Il Giornale” e “Libero”. Entrambi non fanno che attaccare ogni giorno in prima pagina il presidente della Camera e entrambi hanno lanciato una campagna di raccolta firme per chiederne le dimissioni dal gradino più alto di Montecitorio. La campagna contro di lui si concentra soprattutto sull’ “affaire” Montecarlo e su Giancarlo Tulliani, quel cognato “scomodo” che gira in ferrari e sogna di fare la tv. Quello stesso che, secondo un’inchiesta di Libero, Fini avrebbe raccomandato in Rai. Oggi, ad esempio, “Il Giornale” mostra in prima pagina una grande foto del cognato di Fini che sfoggia una bellissima ferrari. E il titolo è eloquente: “La bella vita del cognato”, sottotitolo: “Mandiamo a casa Fini: raccolte già 35 mila firme”. Allo stesso modo “Libero” mette in prima pagina una grande vignetta in cui si vede la caricatura di Elisabella Tulliani che tiene al guinzaglio un Fini trasformato in cagnolino e sotto il titolo: “In Villa con i suoceri. Ferie da recluso per paura dei fischi”. Dentro c’è anche un pezzo targato Filippo Facci dal titolo: “Capo della Camera e zerbino di casa”, sottotitolo “A 58 anni Fini è ostaggio della famiglia della compagna e costretto ad assecondare le rischieste scomode di tutti”.
C’è, sempre su “Libero”, Pierluigi Paragone che scrive anche una lunga lettera aperta a Fini con una proposta di “acquisto” della casa monegasca venduta da An ad una società delle Antille per 300 mila euro. Il titolo è: “Si togla un peso, mi venda la stamberga”.
Dall’altra parte Gianfranco Fini è consapevole che quella che gli sta cadendo addosso è una campagna mediatica se non proprio creata da Berlusconi perlomeno “cavalcata”. Dalle vacanze Fini chiama i suoi collaboratori e la linea è questa: “Nel momento in cui viene aperto uno scontro istituzionale di questa portata – è il ragionamento – allora il nuovo bipolarismo italiano, l’unico ormai, sarà tra berlusconismo e antiberlusconismo”.
Che lo scontro è arrivato ad un punto di non ritorno lo dimostrano i toni che utilizzano finiani e berluscones. Ai fedeli del Cavaliere che chiedono le dimissioni di Fini, risponde nuovamente Italo Bocchino che, di rimando, in un’intervista a La Repubblica chiede le dimissioni di Berlusconi, Matteoli, Fitto e Bertolaso.
Le possibilita’ che Fini si dimetta ”sono pari a zero”, afferma Bocchino, e certo prima di lui, ”che non e’ nemmeno sotto processo”, dovrebbe essere ”Berlusconi a dimettersi, al contrario imputato in piu’ processi” e con lui ”per lo stesso motivo i ministri Matteoli, Fitto e il sottosegretario Bertolaso”. Se i berlusconiani ”vanno avanti di un solo passo siamo alla crisi istituzionale”, dice i capogruppo alla Camer di Futuro e Libertà e ”la sta aprendo Berlusconi”. Il presidente della Camera, osserva Bocchino, ”dipende dal Parlamento che gli da’ la fiducia, ma il Parlamento non puo’ e non deve dipendere dal governo”. In ogni caso, si chiede come possa il Cavaliere chiedere le dimissioni di Fini, ”proprio lui che e’ imputato in piu’ processi” come i ministri e il capo della Protezione Civile.
”Noi – aggiunge – non abbiamo mai chiesto le loro dimissioni”. Anche se Berlusconi ufficialmente in questi giorni non si e’ pronunciato, per Bocchino ”ci sono prove inconfutabili che lui sia il mandante di tutta l’operazione”: in primis le dimissioni chieste dal portavoce del Pdl (Capezzone) e mai smentite, e in secondo luogo ”la raccolta di firme contro Fini arrivata dal Giornale, che e’ una sua proprieta”’. Il ”rispetto del ruolo istituzionale di Fini” diventa allora ”una precondizione” per evitare la crisi: ”Non possiamo piu’ stare a guardare gli avvoltoi, non possiamo piu’ tollerare che il presidente della Camera sia quotidiano bersaglio della stampa berlusconiana”.
Leggeri segnali di distensione arrivano invece da Maurizio Gasparri, ex An oggi fedelissimo di Berlusconi. ”Non ho sottoscritto alcun appello per le dimissioni” di Fini, anche se la vicenda di Montecarlo ”non mi pare proprio sia stata chiarita. Ma la questione e’ tutta politica e politicamente va affrontata”, dice Gasparri che non vuole pero’ sentir parlare di vertice di maggioranza: ”Non so nemmeno cosa sia. A settembre si votera’ sui quattro punti”, piu’ ”sicurezza e famiglia. Non ci inventeremo pretesti per rompere”.
Se ”si potra’ andare avanti bene, altrimenti c’e’ il voto”. Le ”chanche di riuscita” di una riappacificazione tra Fini e Berlusconi per Gasparri ”sono poche”, anche perche’ ”la crisi nei loro rapporti risale a molti anni fa”, almeno al ”98-’99” quando ”molti pensavano che Berlusconi fosse finito” e si guardava alla sua successione. Fini ”fondo’ l’Elefantino con Segni e Taradash per tentare il sorpasso”. Poi ”nel 2004 io e La Russa lavorammo per la sua nomina al ministero degli Esteri”, dopo le ”tensioni e difficolta”’ per quello che ”fu chiamato sub-governo Fini-Casini”. Quando approdo’ alla Farnesina, ricorda Gasparri ”ci chiamo’ per ringraziarci, e non succedeva spesso”. Quanto alla formazione di gruppi autonomi, ”gia’ il giorno delle Regionali ci convoco’ per discutere la proposta”. Poi visti i risultati ”quel pranzo salto”’. E oggi ”c’e’ gente che e’ andata con lui anche per storie e solidarieta’ personali, ma sappiamo che una decina dei suoi non voterebbro mai contro il governo”.
Paventa il rischio di una “guerra civile” nel centrodestra, invece, il finiano Adolfo Urso. Bisogna ”fermare i tamburi di guerra”, dice in un’intervista alla Stampa, e ”tornare a discutere di quello che insieme dobbiamo fare nei prossimi tre anni”, altrimenti ”il centrodestra” rischia ”di trovarsi dentro una guerra civile”.
”Oggi – aggiunge – sembra prevalere la follia e la disgregazione” con attacchi ”a una delle massime cariche dello Stato” che sono ”fuori della natura, dei valori e della storia del centrodestra europeo e del Ppe”. Certo, ”bisogna capire se Capezzone parla per se’ o per conto di Berlusconi”, perche’ ”in quest’ultimo caso si aprirebbe un conflitto istituzionale senza precedenti” e andrebbe convocata ”l’assemblea nazionale del Pdl, perche’ cio’ contrasterebbe in modo palese con i valori fondativi del partito”.
”Mi chiedo – aggiunge – cosa pensano in questo momento il presidente del Senato, Renato Schifani, e il ministro degli Esteri Franco Frattini. E come potrebbe quest’ultimo spiegarlo ai nostri partner europei”. Urso e’ comunque convinto che ci sia spazio per ricucire: ”Se Berlusconi si e’ riappacificato con Bossi nel ’94 – e’ il suo ragionamento – puo’ farlo anche con Fini”. In ogni caso, i finiani di Futuro e Liberta’ resteranno ”uniti, da uomini liberi che hanno fatto una scelta per legittima difesa”.