In attesa di conoscere la linea che Gianfranco Fini detterà dal palco di Mirabello, Silvio Berlusconi prepara il terreno sullo spinosissimo tema della riforma della giustizia ed in particolare del processo breve. A questo scopo, il capo del governo ha convocato a palazzo Grazioli il ministro della Giustizia Angelino Alfano, il suo avvocato e consigliere giuridico Niccolò Ghedini e il sottosegretario Gianni Letta.
Un incontro che da colazione di lavoro si è trasformato in un vero e proprio ‘vertice-fiume’, durato fino a sera inoltrata, con la partecipazione anche del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, del capo della diplomazia Franco Frattini e del portavoce Paolo Bonaiuti.
Le notizie che filtrano da dentro sono scarse. Uno dei partecipanti assicura che non si è discusso solo di giustizia, ma anche dei 5 punti programmatici su cui si cercherà il un’intesa coi finiani. Il premier, riferisce una fonte della maggioranza, ”dopo il teatrino di agosto vuole pensare alle cose concrete, al programma di governo”. L’obiettivo, assicura un altro partecipante riassumendo le parole del premier, ”non è quello di tirare a campare, ma di governare fino al termine della legislatura: altrimenti, meglio andare al voto”.
E così, con Tremonti si sarebbe parlato del piano per il Sud, di federalismo, di fisco. Su quest’ultimo aspetto, ”Berlusconi ha confermato che l’obiettivo è semplificare prima e poi, quando i conti lo consentiranno, ridurre la pressione fiscale”, spiega una fonte presente al vertice.
Ma proprio le competenze dei presenti indicano che gran parte dell’incontro è stato dedicato al tema della giustizia. E la linea emersa è chiara: andare avanti con il processo breve, aprendo però alla possibilità di modificare la norma transitoria, modulando i termini della prescrizione per avere un minore impatto sul numero di processi in corso destinati a estinguersi con l’introduzione del ddl. Il tutto senza tuttavia abbassare l’asticella al punto tale da escludere dall’estinzione i processi Mills e Mediaset a carico del premier Silvio Berlusconi. Un modo per venire incontro alle perplessità dei finiani, che da giorni insistono proprio sugli effetti collaterali del ddl, ma anche per rassicurare il Quirinale.
Intanto, però, Berlusconi non intende restare con le mani in mano. E’ vero che attende di capire l’atteggiamento di Fini e sulla base di quello che dirà a Mirabello, deciderà le contromosse. Ma vuole essere pronto. Se la situazione lo richiedesse potrebbe ad esempio inviare la lettera che Frattini gli ha preparato in cui si spiegano le ragioni del processo breve. Una missiva indirizzata ai ministri degli Esteri dell’Ue per ricordare le tante critiche e condanne subite dall’Italia proprio per la lentezza della sua giustizia. Questa lettera potrebbe restare nel cassetto ed essere utilizzata solo come appunti per un discorso in Parlamento o in tv qualora Berlusconi sentisse il bisogno di spiegare direttamente agli italiani la necessità di intervenire sulla giustizia.
Se il Cavaliere e i suoi pretoriani attendono l’ex leader di An, i finiani rilanciano la palla nel campo del Pdl. ”Aspettiamo che il governo ci illustri come sciogliere questi nodi”, fa sapere Italo Bocchino a proposito del processo breve; mentre il ‘falco’ Fabio Granata chiude la porta a ”norme retroattive”.
Sul fronte opposto, quello del Pdl, a far capire che un’apertura c’è è Gaetano Quagliariello che, dando per scontato che gli ”amici di Futuro e Liberta”’ condividano la necessità di dare uno ‘scudo’ giudiziario al premier, chiede ai finiani di ”dire cosa, se non il processo breve, si può fare”.
Che il tema sia scottante lo conferma un’editoriale di Famiglia Cristiana in cui il settimanale dei paolini definisce il processo breve una ”falsa priorità” e una ”falsa emergenza” per un Paese che dovrebbe pensare a ben altro. Ma Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl a Montecitorio, conferma l’importanza del provvedimento: è l’unico modo, afferma, per ”ridimensionare cifre incivili” sulla durata dei processi.