ROMA – Negli ultimi 4 anni entrambi i governi in carica, pure diametralmente opposti, sono passati dalla stessa tentazione: cara Provincia, vorrei tagliarti…ma non posso. E anche stavolta, per impegno diretto dei deputati/presidenti di Provincia e per indirette contingenze, sembra proprio che gli enti più bistrattati si salvino ancora.
In origine fu Berlusconi, campagna elettorale per le elezioni 2008. Campagna all’insegna del: tagliamole. Aboliamole per risparmiare. Grido sacrosanto e condiviso, a parole. Ma quando Berlusconi al governo andò davvero la musica fu un’altra. Ci provò Brunetta a tagliarle, ci provò anche Calderoli con lo stratagemma: non tagliamole ma riduciamole di numero. Niente, la conclusione fu che i benefici non erano superiori ai costi, i dipendenti andavano comunque riassorbiti dalla pubblica amministrazione, e tanti saluti.
Anno 2011, anno di crisi profonda, anno di Monti al governo. Che torna a calcare la mano sulle Province. Il decreto salva Italia rigira la questione trasformando le province in enti non più elettivi. Praticamente con sola funzione di raccordo tra i Comuni, il tutto da dettagliare e attuare tramite apposita legge da approvare entro il 2012.
Le Province, capitanate dai presidente/deputati, hanno subito fatto ricorso alla Corte Costituzionale per un vizio di costituzionalità . La Carta in effetti assegna alle Province “funzioni fondamentali”, ovvero qualcosa di molto differente da quello previsto dal Salva Italia. Ed è allora, e siamo alla scorsa estate, che il governo ha pensato alla riduzione di numero, tramite decreto. Anche qui le Province hanno remato contro. E si è arrivati a oggi, ovvero con un capo del governo che ha già annunciato le dimissione e una data per le Politiche che potrebbe essere il 17 o il 24 febbraio. Neanche a dirlo, non ci sarà tempo per pensare alle Province.