I frutti del federalismo continuano a maturare. Questa volta, però, non si tratta di una “secessione” ventilata dal Veneto o dalla Lombardia: a chiedere l’autonomia è la Romagna, che ha deciso di liberarsi della vecchia e produttiva Emilia, che sembra aver accolto la proposta senza clamore e non dovrebbe quindi opporre alcuna “resistenza”.
Le proposte di legge, in calendario in commissione Affari costituzionali alla Camera, in realtà sono ben due, firmate dal leghista Gianluca Pini e dal finiano Enzo Raisi.
Gli obiettivi delle proposte. Entrambe chiedono di rendere autonome da Bologna le Province di Forlì-Cesena, Rimini e Ravenna, costituendo la Regione Romagna. L’obiettivo è interpretare le esigenze del territorio, spiegano i promotori, che allontanano ipotesi secessioniste, almeno ufficialmente. Si tratta di proposte che giungono dunque da un’area storicamente e tuttora appartenente al centrosinistra, ma in cui il Popolo della Libertà ha raggiunto alle ultime amministrative il 24,5% e la Lega è arrivata al 13,7% . Il Carroccio, infatti, sta prendendo sempre più “possesso” di questo territorio, tradizionalmente “rosso” e dal 2008 aumenta costantemente il proprio numero di consiglieri a tutti i livelli.
Le ragioni economiche. Entrambi i provvedimenti prendono le mosse dalle esigenze del territorio, chiariscono i promotori: Il deputato Gianluca Pini, «emiliano per caso, perché i miei genitori sono romagnoli da generazioni e io vivo a Forlì», spiega che la sua iniziativa riprende «quanto fatto con Calderoli e Bossi nel precedente governo». Un lavoro, dice, che ha origine nelle istanze economiche di un territorio che si sente penalizzato dalle politiche di Bologna. E che ora spera nel federalismo per avere un rilancio. «L’autonomia della Romagna va inserita nella riforma federale dello Stato, continua Pini, è disomogenea rispetto all’Emilia. Sono due realtà diverse». Innanzitutto la Romagna è più povera: «Il reddito medio pro capite è di circa un quarto inferiore rispetto alla media dell’intera regione» e poi «ha una vocazione economica differente. I settori forti sono il turismo, l’agricoltura e l’artigianato. L’Emilia, invece, ha la grande e media industria, le cooperative e ha meno terziario».
La storia. Alle origini poi ci sono anche motivazioni storiche: «Bisogna considerare i milleottocentosessanta anni di autonomia, l’Italia dei Comuni qui non c’è stata, sono terre pontificie. La questione identitaria e culturale, conclude Pini, non è in secondo piano». La proposta quindi, trattandosi di riforma della Costituzione, prevede come ultimo passo un referendum confermativo solo per i romagnoli.
Dalla Lega dell’Emilia nessun ostacolo. Il partito, già di fatto diviso in Emilia e Romagna, rispetta le richieste dei romagnoli: «Ci sarebbero dei vantaggi reali» conferma Angelo Alessandri, segretario nazionale della Lega Nord Emilia e presidente federale del partito. Sono due realtà diverse, l’Emilia però ha da sempre una struttura più federalista. Abbiamo sostenuto la richiesta della Romagna anche nella devolution. E una Emilia indipendente piacerebbe pure a noi. Gli emiliani però non sentono questa necessità. È un bisogno dei romagnoli che noi rispettiamo».
Da qui la richiesta del deputato del Pdl Enzo Raisi: «La mia proposta nasce dalle istanze che arrivano dal mondo della Romagna. E ora che si parla di federalismo, facciamolo in senso positivo, andando incontro alle esigenze del territorio». Territorio dopo territorio, il federalismo va avanti.