Si preannunciano come un trionfo scontato le elezioni presidenziali di domenica 19 dicembre in Bielorussia per il capo dello Stato uscente Aleksandr Lukashenko, definito ”l’ultimo dittatore d’Europa” dall’ex presidente Usa George W. Bush.
Il padre-padrone di questo Paese di 10 milioni di abitanti tra Russia e Ue corre senza rischi per un quarto mandato consecutivo al vertice di uno Stato che guida con pugno di ferro dal 1994, controllando i media, riducendo al silenzio l’opposizione e usando in modo sistematico i servizi segreti, che qui si chiamano ancora Kgb.
Non è questo l’unico retaggio di un passato che Lukashenko continua a voler far rivivere, trasformando la Bielorussia quasi in un museo vivente della vecchia Urss, con un’economia statale pianificata, un controllo capillare dell’informazione e della società, una pena di morte ancora vigente.
Gli oppositori. E una persecuzione di ogni forma di dissenso con toni – e secondo i suoi detrattori anche metodi – staliniani: i nove candidati dell’opposizione, per lui, sono ”nemici del popolo”. Il suo rivale più noto, Aleksandr Milinkevich, premio Sakharov nel 2006, ha rinunciato in partenza a partecipare ad una campagna elettorale ”a senso unico” e con un’opposizione divisa, incapace di esprimere un candidato unico. Ce ne sono parecchi, anche di qualità, ma tutti gridano già ai brogli e invitano a scendere in piazza fin da domenica sera: dal popolare poeta Vladimir Nekliaev, 64 anni, che spera di ”liberare la Bielorussia dalla dittatura”, a Nikolai Statkevich (54), condannato a tre anni di campo di lavoro per aver guidato negli anni Novanta un corteo pacifico contro Lukashenko. Fino ad Andrei Sannikov, ex vice ministro degli esteri (1995-1996) e poi fondatore del sito internet di opposizione più popolare nel Paese.
Le “aperture”. Questa volta Lukashenko ha concesso a tutti un paio d’ore in tv, ma solo 2-3 settimane prima del voto, in modo che gli elettori potessero dimenticare le loro parole. E’ una delle piccole aperture formali fatte da questo presidente paternalista e autoritario per rendere più accettabile l’esito delle elezioni agli occhi occidentali. In particolare della Ue, alla quale Lukashenko tenta di avvicinarsi dopo il gelo con l’ex alleato russo, accusato di voler assoggettare Minsk e di finanziare l’opposizione.
I sondaggi. Ma gli ultimi sondaggi lo danno già al 75% al primo turno, contro l’83% del voto del 2006, bocciato dagli osservatori Osce per brogli poi ammessi dallo stesso Lukashenko, quando spiegò di aver ordinato di abbassare il risultato dal 93% all’80% circa ”perché superare la soglia del 90% non passa psicologicamente”. Ha snobbato persino gli spazi elettorali, preferendo tagliare nastri per giornali e tv.
Eppure Lukashenko, 56 anni, ex direttore di un sovkoz (fattoria sovietica statale), soprannominato ‘Batka’ – piccolo padre della Bielorussia – gode comunque di una vasta popolarità in un Paese povero ma nuovamente in crescita dopo la crisi, senza criminalità e disoccupazione. Un ”modello” unico di cui Lukashenko si vanta, continuando a giocare con abilità su due sponde: con Bruxelles ma anche con Mosca, che nei giorni scorsi ha ceduto sui dazi petroliferi pur di non far uscire Minsk dall’orbita russa e dall’Unione doganale con il Kazakhstan, in vista di un futuro spazio economico comune.
[gmap]