IL CAIRO – David Cameron non ha perso tempo. Ha aspettato qualche giorno che le cose si stabilizzassero poi ha preso un aereo ed è arrivato al Cairo: ha incontrato i leader militari, si è fatto un’idea della situazione e se n’è tornato in quel di Londra.
Spiega il New York Times che il premier britannico è stato il primo presidente ad incontrare i militari. Il tutto mentre questi ultimi, dopo aver azzerato il Parlamento e sospeso la Costituzione, cercano di rassicurare la comunità internazionale sulle loro intenzioni.
Cameron, però, non ha voluto avere nulla a che fare con i “fratelli musulmani”: una scelta, questa, che non è passata inosservata. Un loro rappresentante ha definito “stupefacente” la scelta del premier britannico di escluderli dalla consultazione ma dallo staff di Cameron, che su questo aspetto non ha rilasciato dichiarazioni, trapela, sempre secondo il New York Times, l’intenzione di far capire che la Gran Bretagna intende quella egiziana come rivoluzione popolare dettata da un’istanza democratica e non come opera di “estremisti che si aggirano per le strade”.
Per gli Usa, al Cairo, ci è andato il sottosegretario per gli Affari politici William J. Burns. Anche lui ha incontrato i vertici militari e poi ha spiegato che gli Usa vogliono “incoraggiare”, non “imporre” una rapida transizione verso la democrazia.
“Gli americani – ha spiegato Burns – rispettano profondamente e ammirano ciò che l’Egitto ha già raggiunto, ma sanno che la strada da percorrere non sarà facile”.
Intanto, dall’esercito, arrivano i primi segnali di apertura: Mounir Abdel Nour, il segretario generale del partito Wafd, uno dei più antichi partiti politici della nazione (all’opposizione), è stato nominato il ministro del turismo per il governo provvisorio. Altra indicazione confortante, almeno sulla carta, è la probabile scomparsa del ministero dell’Informazione, simbolo del controllo dell’ex preisdente Mubarak sui mezzi di comunicazione.