IL CAIRO – Mohamed El Baradei premier formerà il nuovo governo e giurerà la sera del 6 luglio, annunciavano i media egiziani. “Categorico no”, si opponeva la fratellanza musulmana. Ma il nome del premio Nobel per la pace come nuovo premier sembrava ormai certo. E invece la nomina di El Baradei torna nel dubbio in poche ore e rimane in sospeso.
La presidenza del Cairo, poco prima della mezzanotte, ha fatto sapere che “ci sono varie opzioni” sul nome del primo ministro di transizione, registrando la forte opposizione all’esponente laico e progressista espressa non solo dai Fratelli Musulmani, ma anche dall’altro partito islamico Nour, che pure – a differenza della Fratellanza – aveva accettato di prendere parte al processo politico gestito dai militari che hanno deposto Mohamed Morsi.
La presidenza, pur sottolineando che il nome di El Baradei sia “il più logico” per il compito richiesto, ha fatto sapere che non c’è una data fissata per la designazione del premier. In giornata, sembrava che il presidente ad interim egiziano Adly Mansour avesse messo a posto la prima casella della road map delineata tre giorni fa, dopo la deposizione di Mohamed Morsi, ma i cui contenuti sono ancora tutti da definire, a partire dalla durata della transizione, al calendario degli appuntamenti elettorali.
El Baradei avrebbe chiesto di avere ”piene prerogative” e il suo compito, a quanto si era appreso, sarà di formare un governo di coalizione ”inclusivo”. La nomina del leader del Fronte di opposizione, accusato dalla Fratellanza di essere uomo degli Usa in Egitto (ma stasera la Casa Bianca ha categoricamente smentito che Washington sostenga una delle parti in Egitto), arriva nel giorno in cui il paese conta i morti, trentasette nell’ultimo bilancio, delle violenze fra pro e anti Morsi che hanno segnato il “venerdì del rifiuto”, organizzato dalla Fratellanza per chiedere il ritorno di quello che considera il ”legittimo” presidente.
Notizie allarmanti sono intanto giunte dal Sinai, sempre più una polveriera incontrollata. Dopo l’uccisione di sei poliziotti in vari attacchi tra il 5 e il 6 luglio, un gruppo di uomini armati ha falciato un sacerdote copto davanti alla sua chiesa nei pressi del capoluogo del Sinai del Nord, el Arish. E ad elevare ulteriormente la tensione, giunge l’annuncio della formazione di un nuovo gruppo jihadista, Ansar al Shariah, che minaccia la violenza per imporre la sharia e condannando le deposizione del presidente della Fratellanza.
Uno dei primi passi del nuovo premier, chiunque egli sia, sarà quello di allentare la tensione, sempre presente, fra le due piazze, quella degli anti Morsi e quella della Fratellanza, che si sono riunite nuovamente oggi. La Fratellanza ha fatto sapere che continuerà a presidiare la piazza davanti alla moschea di Rabaa el Adaweya fino a quando Morsi non ritornerà al suo posto anche se le prime mosse del presidente ad interim fanno capire che per Morsi si tratta di una strada ormai senza ritorno.
Secondo alcune fonti, citate da al Ahram online, i vertici della Confraternita hanno cominciato a capirlo e stanno usando la pressione della piazza e anche le violenze, come quelle della scorsa notte, per assicurare salvacondotti per i propri leader. Nel frattempo la procura ha avviato le indagini contro tre dei massimi esponenti della Fratellanza, fra i quali il potente numero due della confraternita Khairat el Shater, accusati di avere incitato alla violenza che ha portato all’uccisione di otto persone nell’assalto al quartier generale della confraternita al Cairo, all’inizio della settimana.