ROMA – Aung San Suu Kyi e’ stata eletta nel Parlamento birmano. Lo annuncia il partito del premio Nobel per la pace, la Lega nazionale per la democrazia, che nei comunicati ufficiali lascia trapelare l’entusiasmo: “Siamo in testa ovunque”.
Nella circoscrizione di Kawhmu, dove il premio Nobel per la Pace era candidata, secondo la Lnd, Suu Kyi avrebbe il 99% dei voti. Il movimento reclama anche un forte vantaggio di altri suoi candidati in altri collegi. Davanti alla sede dell’Nld a Rangoon migliaia di sostenitori della “Signora” attendono intanto con trepidazione i risultati ufficiali, in un’atmosfera di festa popolare.
Dalla sua casa-prigione al Parlamento, dopo neanche un anno e mezzo: Aung San Suu Kyi ha coronato oggi oltre un ventennio di sacrifici personali per la causa birmana, ottenendo una vittoria netta nel collegio rurale dove si era candidata per il voto suppletivo. Ma come ha ricordato più volte lei stessa, il successo non significa che il suo obiettivo è raggiunto: il Paese si trova solo all’inizio della strada che porta verso la democrazia. Quella che era una prospettiva impensabile ancora nel novembre 2010, al momento del suo rilascio dopo sette anni agli arresti domiciliari (e 15 degli ultimi 22 passati in detenzione), è diventata realtà grazie a un’improvvisa accelerazione delle riforme da quando Suu Kyi (66 anni) ha incontrato il presidente Thein Sein, lo scorso agosto.
Da allora la leader dell’opposizione ha spesso ribadito la sua fiducia nell’ex generale, che l’ha sempre più coinvolta nelle dinamiche politiche. Una volta che la candidatura di Suu Kyi ha ricevuto il nulla osta delle autorità , la sua elezione era scontata; l’amore della sua gente era evidente negli affollati comizi che ha tenuto per tutta la campagna elettorale. L’atteggiamento del Nobel per la Pace, in passato conosciuta come una “irriducibile” poco disposta al compromesso con l’ex giunta militare, è nel frattempo cambiato.
Già prima del rilascio aveva adottato un approccio più pragmatico, segnalando il bisogno di giungere a una riconciliazione. Una volta libera, l’iniziale cautela nel testare i suoi spazi di manovra ha lasciato gradualmente spazio a una maggiore decisione. Preferendo la retorica (una dei suoi slogan è “per una Birmania libera della paura”) a specifiche promesse politiche, ha espresso anche l’esigenza di cambiare la Costituzione, che garantisce il 25% dei seggi in Parlamento ai militari: tema che potrebbe portare a future tensioni. L’elezione della ‘Signora’ – com’è rispettosamente chiamata dai birmani – contribuirà sicuramente a conferire una nuova legittimazione internazionale al “nuovo corso” lanciato da Thein Sein, con un probabile allentamento delle sanzioni applicate da Stati Uniti e Unione Europea.
L’opinione della futura deputata Suu Kyi – che ha attenuato la sua opposizione a quelle misure restrittive, ma è restia a privarsi del loro potere come arma negoziale – sarà come al solito ascoltata attentamente da un Occidente desideroso di recuperare influenza in un Paese abbandonato a favore della Cina. Si ipotizza anche un possibile incarico di governo, magari nel campo delle relazioni con l’estero; eventualità sulla quale Suu Kyi si è tenuta vaga. Ma incontrando ministri degli Esteri, diplomatici, investitori stranieri, di fatto già negli ultimi mesi lei si è comportata come un’ambasciatrice. Ora, intanto, porterà la sua capacità oratoria e il suo carisma in Parlamento. Se il “nuovo corso” birmano non subirà dietrofront o colpi di coda dell’ala più irriducibile, e la sua “Lega nazionale per la democrazia” dovesse vincere le elezioni generali nel 2015, a quel punto per lei potrebbero anche schiudersi le porte della presidenza.