Un proposta di legge per la revoca della cittadinanza israeliana a persone accusate di collusione col terrorismo o di “tradimento della patria” – presentata dall’estrema destra con l’avallo dell’ufficio legale dello Shin Bet (i servizi segreti interni) – ha suscitato accese polemiche alla Knesset, il parlamento di Gerusalemme.
L’iniziativa, ideata dal ministro dell’Interno, Eli Yishai (Shas, destra religiosa ebraica), è stata rispolverata in versione corretta dal deputato David Rotem, di Israel Beitenu: il partito ultranazionalista che fa capo al ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, e che rappresenta uno dei pilastri del governo di Benyamin Netanyahu.
Una versione ancor più draconiana che ha innescato le critiche veementi dei deputati della minoranza arabo-israeliana, convinti che il progetto possa trasformarsi in una minaccia indiscriminata all’opposizione radicale o a qualunque voce scomoda per il potere dominante.
Il clima si è definitivamente infuocato quando Rotem ha provato a zittire uno dei contestatori additandolo come ”rappresentante dei traditori” e questi gli ha risposto definendolo ”rappresentante dei criminali” e ricordando come persino Yitzhak Rabin (il premier laburista ucciso da un estremista della destra ebraica nel 1995 dopo aver firmato gli accordi di pace di Oslo coi palestinesi) fosse stato a suo tempo accusato di tradimento dalle forze nazionaliste.
Parole dure contro il disegno di legge sono venute inoltre dal gruppo del Meretz (sinistra sionista), a giudizio del quale l’iniziativa s’inserisce in un clima da ”caccia alle streghe” e fa il paio con la controversa idea del governo Netanyahu di imporre in futuro ai candidati al passaporto israeliano un inedito giuramento di fedeltà alla natura ”democratica ed ebraica” dello Stato.
