TRIPOLI – Libia, spunta un piano B per l’intervento. Questa volta non con il governo riconosciuto di Tobruk ma con quello di Tripoli. L’Italia prepara la missione, ma servono cinquemila soldati.
Per sconfiggere l’avanzata del cosiddetto Stato Islamico, che martedì sera è arrivato alle porte di Tripoli, i bombardamenti aerei non bastano. Sono necessarie truppe di terra e un governo riconosciuto a livello internazionale che legittimi il sostegno italiano. E quindi il piano B potrebbe prevedere di abbandonare il parlamento di Tobruk, laico e riconosciuto dalla comunità internazionale, a favore di quello di Tripoli, più filo-islamico.
In questo modo si punterebbe poi, spiega Gianluca Di Feo su la Repubblica, a dividere il Paese in tre entità principali basate sulla antica organizzazione amministrativa ottomana: Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. Una soluzione che potrebbe placare anche le potenze regionali, come Egitto, Turchia, Qatar ed Emirati. Inoltre, il piano B prevede di schierare un contingente occidentale in Tripolitania in difesa delle infrastrutture chiave come porti, aeroporti, oleodotti e pozzi petroliferi.
Questa soluzione estrema sembra diventare necessaria man mano che passa il tempo. Anche martedì il parlamento di Tobruk ha rinviato il voto sul governo unitario nato dalla mediazione dell’Onu.
I raid aerei sono in azione da tempo: c’è una ricognizione continua condotta da droni americani e italiani che decollano da Sigonella, da droni francesi e britannici. La Libia è sorvolata da aerei spia che scattano foto e monitorano le comunicazioni radio. Ma tutto questo non basta.
Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Italia stanno quindi cercando una soluzione alternativa che ha un solo punto fermo: frenare l’espansione degli jihadisti in Libia va fermata, anche a costo di rassegnarsi a una divisione sostanziale del Paese.
Spiega Gianluca Di Feo su la Repubblica:
“Brett McGurk, l’uomo a cui Barack Obama ha affidato la lotta contro lo Stato Islamico, è tornato a sottolineare la preoccupazione della Casa Bianca. Gli americani non sono disposti ad assistere alla crescita delle brigate libiche con la bandiera nera, che “tentano di attrarre quanti più combattenti stranieri” dal Maghreb e dall’Africa centrale. Per niente intimoriti dal bombardamento statunitense della scorsa settimana, i miliziani islamici hanno attaccato di nuovo le installazioni petrolifere distruggendo due grandi depositi di greggio a Sida. L’obiettivo di queste incursioni è chiaro: azzerare l’unica risorsa che finanzia le istituzioni libiche rivali e le formazioni locali che si oppongono al Daesh. La premessa per costruire il caos totale e imporre il dominio del Califfato.
Così gli alleati europei si stanno allineando alla nuova posizione della Casa Bianca: “Agiremo ogni volta che verrà individuata una minaccia diretta”. Una dichiarazione che in pratica permette di attaccare qualunque base dell’Is. E alla quale per la prima volta sembra avvicinarsi anche Matteo Renzi, che ieri ha detto “se ci sono iniziative contro terroristi e potenziali attentatori dell’Is, l’Italia farà la sua parte insieme con gli alleati”.