WASHINGTON – Barack Obama è “pronto a collaborare col nuovo Congresso”. Così il presidente americano tende la mano ai repubblicani dopo le elezioni di medio termine che hanno segnato il trionfo dei suoi avversari.
Il presidente “ripudiato”, come titolava in nottata il Washington Post, si prepara ad affrontare gli ultimi due anni del suo mandato da “anatra zoppa”, non potendo più contare su una maggioranza parlamentare che appoggi le sue riforme. Una sfida che nella storia Usa prima di lui hanno sperimentato solo Dwight Eisenhower, Ronald Reagan, Bill Clinton e George W. Bush.
“Nei prossimi due anni possiamo trovare strade per lavorare insieme. Possiamo cooperare in diverse aree, come quella dell‘aumento del salario minimo. Gli americani – sottolinea – hanno inviato un chiaro messaggio e ora si aspettano dei risultati: si deve lavorare duro per loro, e ci si deve concentrare sulle loro aspirazioni, non sulle nostre”.
Per questo il presidente dice di aspettarsi dalla destra “un’agenda molto precisa”, perché adesso i repubblicani in Congresso “hanno la forza per fare le cose”. Non hanno più scuse, a partire dall‘immigrazione.
Ma è proprio su questa delicata riforma che si consuma il primo duello con il futuro nuovo leader del Senato Mitch McConnell, che ha definito “un grave errore” se Obama dovesse decidere di andare avanti unilateralmente. Con il presidente che al contrario si dice invece pronto ad agire per decreto entro la fine dell’anno. Obama è pronto alla battaglia
“Prenderò decisioni che non piaceranno al Congresso e loro vareranno leggi che io non firmerò, vedi l’abolizione dell’Obamacare”, spiega.
Aggiungendo di avere nei due anni che gli rimangono alla Casa Bianca solo l’obiettivo di aiutare il più possibile gli americani: “Non ho aspirazioni politiche, non sono più candidato”.
La vittoria della destra alle midterm, era stata ampiamente annunciata dai sondaggi. Ma alla fine è stata più ampia del previsto. Ai repubblicani, infatti, per ottenere la necessaria maggioranza alla Camera Alta bastava strappare ai democratici sei seggi, attenti a non perdere in tre Stati in cui erano insidiati dagli avversari (Georgia, Kansas e la Lousiana dove si andrà al ballottaggio). Alla fine, quando ancora non si conoscono i risultati definitivi di due Stati (Alaska e Virginia), i seggi senatoriali conquistati sono 52.
Almeno sette, dunque, quelli strappati al partito del presidente: North Carolina, Arkansas, Colorado, Iowa, West Virginia, Montana, South Dakota. Questi ultimi due a sorpresa, visto che non erano nella lista degli stati considerati in bilico. La rimonta della destra, dunque, è completata, dopo che nel 2012, nonostante la rielezione di Obama, i repubblicani si rimpossessarono della maggioranza alla Camera, spinti alla vittoria dall’onda dei Tea Party. La crescente impopolarità del presidente ha poi fatto il resto. E la debacle elettorale del suo partito fa adesso suonare il campanello di allarme in vista del 2016. Con i repubblicani decisi a riprendersi anche la Casa Bianca, ma che dovranno dimostrare di poter tornare ad essere un vero e proprio partito di governo. Non più ostaggio del ricatto dei Tea party e delle posizioni più conservatrici e oltranziste, ma un partito in grado di dialogare e fare compromessi.
E il campanello d’allarme suona anche per Hillary Clinton: ha fatto campagna elettorale in ben 18 Stati e molti erano quelli in bilico in cui di Obama non volevano vedere nemmeno l’ombra. E alla luce dei fatti, l’ex first lady non ha portato a casa i risultati sperati.
La vittoria della destra, infine, appare ancor più netta se si guarda alle sfide nei 36 Stati dove si votava anche per il governatore. I repubblicani si sono riconfermati anche in stati in bilico come la Florida, con Rick Scott, e il Wisconsin, con Scott Walker, indicato come uno dei possibili candidati alla presidenziali. I democratici hanno invece conservato la poltrona di governatore nello Stato di New York, con Andrew Cuomo, e in California, con Jerry Brown al suo quarto mandato. Sconfitto invece in Georgia il democratico Jason Carter, nipote dell’ex presidente Jimmy Carter.