WASHINGTON – Nella primavera del 2010 Barack Obama ha invitato a cenare un piccolo gruppo di storici americani specialisti della Casa Bianca. Come era prevedibile, si è parlato soprattutto degli inquilini che, nel corso di più di due secoli di storia, hanno abitato il palazzo presidenziale. Per quanto strano possa sembrare, l’attenzione di Obama – durante la conversazione – non andava agli storici “padri della nazione”, Washington, Jefferson o Lincoln, né ai grandi modelli democratici, come Kennedy o Roosevelt. A detta di uno dei presenti, Barack Obama si è mostrato particolarmente sensibile ad un presidente come Ronald Reagan, uno dei simboli – per la sinistra occidentale – di un’“involuzione” finanziaria, individualista, antisociale. Eppure, è apparso chiaro a tutti che il quarantaquattresimo presidente guarda il suo predecessore come “un punto di riferimento”.
Obama e Reagan non hanno in comune nessuna priorità politica. Tra di loro si possono però individuare un certo tipo di attitudini. Inoltre, le circostanze storiche che ne hanno visto l’elezione e i primi anni di mandato sono straordinariamente simili. Il discorso che Obama ha fatto alla nazione durante il suo secondo “state of the nation” proponeva un blocco della spesa discrezionale, una spinta per semplificare il codice fiscale, milioni di dollari di tagli al budget della difesa, e invocava uno sforzo bipartisan per rimettere in sesto la sicurezza sociale. Un discorso che a molti ha ricordato quello pronunciato da Reagan al suo terzo anno di presidenza, dopo una cocente sconfitta alle elezioni di midterm e in una fase di alta disoccupazione. « Nei prossimi due anni, concentriamoci tutti – uomini e donne dei due partiti – sulle responsabilità a lungo termine del governo, e non sulle tentazioni a breve scadenza della politica ».
L’agenda politica di Obama resta comunque lontana da quella di Reagan. Il quarantesimo presidente americano viene e verrà ricordato per una serie di iniziative che simboleggiano tutto quello a cui Obama si oppone: in politica interna, i tagli alla spesa sociale, in politica estera, la “dissuasione aggressiva” nei confronti delle potenze nemiche, e l’ingerenza americana in America Latina, in politica economica la “deregulation” e il laissez-faire finanziario. Nonostante le profonde differenze, e dietro la superficie di due personaggi pubblici differenti, appare tuttavia chiaro che Obama ha in Reagan un modello per il proprio ruolo presidenziale.
Durante le vacanze di Natale, l’addetto stampa della Casa Bianca, Robert Gibbs ha twittato che Obama stava leggendo una biografia su Reagan. Quasi a voler dimostrare la veridicità dell’affermazione, pochi giorni dopo Obama scriveva un omaggio al suo predecessore sul quotidiano Usa Today: «Reagan ha riconosciuto la fame del popolo americano di responsabilità e cambiamento ». Le somiglianze tra i due uomini risiedono forse in questo richiamo ai sentimenti e alla volontà del popolo, nella loro capacità di toccare le corde più intime degli uomini e delle donne che guidano. Reagan è stato un grande e carismatico comunicatore, capace di essere un cittadino tra i cittadini. Il primo presidente afroamericano condivide le medesime aspirazioni di comunione con il suo popolo. In questo Reagan, più che gli altri suoi predecessori, è per lui il modello da seguire, il modello di qualcuno che ha saputo indicare la strada della responsabilità e del cambiamento, non riuscendo solo a farsi ascoltare, ma anche a farsi amare dal suo popolo. Proprio quello che vuole Obama.
