PARIGI – Più di 100 giornali e tv di tutto il mondo accreditati, un’attesa spasmodica: alla sbarra, nella Chambre Dorée di Parigi, per la prima volta un ex capo di Stato della Quinta Repubblica deve rispondere dei reati commessi al di fuori delle sue funzioni: Jacques Chirac, a processo per abuso di ufficio, appropriazione indebita e sottrazione di fondi. Reati commessi all’epoca in cui era sindaco di Parigi.
Ma come si temeva, in tarda mattinata il processo è stato rinviato a giugno per una questione di costituzionalità sollevata dai legali, che chiedono la prescrizione dei reati. Tutto era pronto ieri, 7 marzo, nell’aula dove fu processata e condannata alla ghigliottina la regina Maria Antonietta nel 1793.
Il processo a Jacques Chirac, 78 anni, due volte presidente della Francia dopo essere stato per 18 anni sindaco di Parigi è il primo presidente a finire alla sbarra nel dopoguerra, dal momento che nel 1945 fu giudicato per tradimento il maresciallo Petain, capo del governo francese che collaborò con i nazisti occupanti.
Chirac rischia 10 anni e 150.000 euro di multa, anche se la soluzione peggiore per lui sembra poter essere una condanna con sospensione delle pena.
Quattro anni dopo la sua uscita dall’Eliseo, i giudici che si erano scontrati durante gli anni di presidenza con la blindatura che lo stesso Chirac contribuì a edificare per proteggere se stesso possono finalmente trattare l’ex capo dello stato come tutti gli altri francesi per uno dei tre grandi processi che lo attendono, quello riguardante la remunerazione illecita di 28 membri dell’Rpr, il partito neogollista fondato da Chirac. Quei 28 uomini, a inizio anni Novanta, furono a lungo stipendiati come se fossero stati dipendenti del Comune di Parigi, di cui Chirac era sindaco.
Lo stesso Chirac ha ammesso le sue colpe patteggiando un risarcimento miliardario insieme all’Rpr a vantaggio del Comune, così da evitare di trovarsi di fronte ”la Ville” sul banco delle parti civili.
Per questi stessi reati – appropriazione indebita di denaro pubblico e abuso di potere – è stato già condannato Alain Juppé, attuale ministro della Difesa, che non aveva potuto beneficiare dello ”scudo” antigiudice di Chirac. Una blindatura che lo stesso ex capo dell’Eliseo volle fortemente, opponendosi con tutte le forze alle richieste di comparizione più volte formulate dai giudici nei suoi confronti e riuscendo, nel 2001, ad ottenere il pronunciamento definitivo della Cassazione: il presidente può essere trascinato davanti alla giustizia durante il mandato soltanto per reati di ”alto tradimento” compiuti mentre è in carica. Per tutto il resto – e per Chirac non si tratta di cose di poco conto (oltre ai falsi impieghi, ci sono i fondi neri dell’Rpr e le case popolari del Comune assegnate agli amici) – l’appuntamento è a fine mandato.
Ieri, 7 marzo, era il giorno del giudizio, ma a far probabilmente stare tranquillo ancora qualche mese Chirac, apparso ultimamente indebolito e con frequenti vuoti di memoria, ci ha pensato l’avvocato Jean-Yves Le Borgne, difensore di uno dei nove imputati, l’ex capo di gabinetto di Chirac al Comune, Remy Chardon.
Come annunciato, il legale ha sollevato ”una questione prioritaria di costituzionalità”, cioè la prescrizione dei reati in oggetto. Chirac era stato dispensato dalla presenza in aula oggi, ma domani sarebbe dovuto comparire.
Oggi pomeriggio, dopo gli ultimi sviluppi, ha fatto sapere che – semmai la corte dovesse respingere come ”non grave” la questione di costituzionalità, ipotesi assai remota – sarà in aula mercoledì 9 marzo.
L’uomo che lottò strenuamente per non rispondere dei suoi atti davanti agli inquirenti – in molti ricordano oggi le sue accuse ai ”giudici rossi” – è oggi difeso essenzialmente dai suoi ex strettissimi collaboratori, Juppé e il portavoce del governo, Francois Baroin, oltre che dalla maggior parte dell’opinione pubblica che ancora lo ritiene il personaggio politico più popolare.
Persino Dominique de Villepin, ex primo ministro e creatura politica ”inventata” da Chirac, ha dichiarato che ”anche quando si ritiene che sia ingiusto, bisogna accettare di rendere conto davanti alla giustizia”.
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