
WASHINGTON – Fine dello shutdown, default evitato. L’America riprende a respirare, e anche i suoi creditori. I lavoratori statali tornano al lavoro. Parchi e monumenti verranno riaperti. L’accordo è stato firmato in extremis dal presidente Barack Obama nella notte tra il 16 e il 17 ottobre, dopo il sì di Senato e Camera. Un’intesa che ha spaccato i Repubblicani, sancendo la sconfitta della linea dura del Tea Party biasimata anche dall’opinione pubblica americana. E il Grand Old Party, ad un anno dalle elezioni di mid-term, si chiede se considerare gli estremisti del senatore texano Ted Cruz ancora membri del partito.
Dopo sedici giorni di shutdown, costati allo Stato 24 miliardi di dollari, il Congresso americano ha detto sì all’innalzamento del tetto del debito: si potrà sforare la soglia del 16.700 miliardi. Ma solo fino al 7 febbraio. E c’è il timore che si tratti solo di una tregua. La questione shutdown tornerà invece all’ordine del giorno il 15 gennaio. Nel frattempo si dovrà trovare un accordo sul rinnovo del bilancio e il taglio di molte spese.
Di certo, però, questi sedici giorni hanno lasciato il segno in tutti gli americani e non solo. Standard & Poor’s ha rivisto la stima di crescita annuale degli Stati Uniti, abbassandola dal 3% al 2%. Nel quarto trimestre, inevitabilmente, calerà anche il Prodotto interno lordo. Ma i veri sconfitti sono i Repubblicani, che hanno rischiato di immolare il Paese nella loro battaglia contro Obama e la sua Obamacare.
