ROMA – Il governo Letta-Alfano non fa altro che rinviare tasse, ne metterà di nuove, solo cambiando il nome. E’ quello che, in sostanza, sostiene Gianluigi Paragone su Libero, chiosando: “Dopo il pessimo Monti, il pessimo Letta-Alfano”:
Mentre politici e commentatori dibattono sulla giusta dose di puttanità , su quanto siano giusti o ingiusti pubblici ministeri e certi giudici, e opportunità delle successioni dinastiche, impresa e lavoro restano il campo battaglia dove contare morti e feriti gravi. Questo, in un Paese serio, dovrebbe essere unico assillo. Non altri. Dopo il pessimo governo Monti (di cui Giorgio Napolitano porta responsabilità enormi mai addebitate per colpa del politicamente corretto) ci tocca fare i conti col pessimo di quello targato Letta-Alfano (anche qui con l’appoggio fondamentale del dello Stato), che del precedente è naturale.
primi passi del governo Letta-Alfano sono all’insegna dell’inazione; il verbo che lo contraddistingue è «rinviare»: stanno rinviando tutto con la promessa di risolvere radicalmente la questione «dopo». Mentono! Non una tassa di quelle nell’elenco sarà cancellata davvero; al massimo cambieranno il nome. Di solito quando scriviamo queste cose, il giorno appresso arriva la lettera del ministro che precisa, che smentisce e che rivendica un qualche risultato. Se davvero fosse così dovrebbero avere il coraggio non di scrivere ai giornali ma di comunicarlo pubblicamente in una piazza aperta, davanti agli imprenditori: non lo fanno perché non reggerebbero il confronto.
Lo Stato deve andare a debito se questo debito consente alle imprese di ripartire: la riduzione del costo del lavoro, il pagamento delle commesse, la riduzione dell’Iva sono investimenti sul futuro. Ciò significa non allinearsi all’Europa? Chi se ne frega! Se il mantenimento del patto di stabilità è la quota di iscrizione per restare nell’euroclub, non ne vale la pena. La domanda non è più rinviabile: vogliamo più Europa per migliorare o dobbiamo stare in Europa per espiare peccati non bene precisati? Farsi correggere da un’Europa di tecnocrati non ha senso politico. È ora di dirlo apertamente. Se ancora si può fare…E su questo ho seri dubbi.