Un colpo di fulmine, un amore folgorante, poi una lunga difficoltà di rapporti con la classica crisi di gelosia, la tregua e alla fine il divorzio clamoroso con i piatti che volavano. Il rapporto tra Gian Piero Gasperini, il “settimo sigillo”, secondo i cronisti sportivi, con il quale Moratti ha siglato il patto del nuovo allenatore postleonardesco, si può riassumere così. Un matrimonio lampo, con il Genoa appena risalito dagli abissi della Serie C e il Gasp pescato come un jolly da un trionfale campionato di serie B nel Crotone e messo sulla panchina di una squadra che stava diventando la grande palestra del joker, regina del mercato, capace di scovare campioni, di recuperare personaggi dimenticati, come il poi mitico Diego Milito, e di scovare anche l’allenatore super.
Pochi sanno che la grande crisi tra i due, dopo quattro anni e all’inizio del quinto campionato, era cominciata per colpa della Juve, alla fine dell’anno trionfale, nel quale il Genoa conquistò il quarto posto, sfiorando la Champion League e Gasperini era diventato un mito del calcio non solo italiano.
“E’ la squadra che gioca di più come il Barcellona”, osservavano i critici del calcio, beandosi del modulo di Gasperini, di quella difesa che azzannava gli avversari e delle ripartenze con gli esterni e della manovra finalizzata da quel mostro di Milito, con le sue “sgommate”, le “sterzate”, capace di mandare in tilt qualsiasi difesa avversaria.
Fu in quella fase oramai mitica per i tifosi rossoblù, dopo che Preziosi aveva risucchiato da ben due retrocessione in C, la prima sotto la gestione del suo predecessore, il carneade mestrino Luigi Dalla Costa, sanata sulla carta con un ripescaggio della Lega, la seconda quella famosa della valigetta con i 250 mila euro costata lo sprofondo dalla B alla terza serie più dieci punti di penalizzazione, le condanne penali e sportive per il presidente, dirigenti e giocatori, che nacque l’asse di ferro Preziosi-Gasperini. E i risultati fioccavano a ripetizione.
Giocando “alla grande” contro tutti, che poteva fare il vecchio Grifone davanti alla Juventus, appena risalita con lui dalla B, dopo lo scandalo Moggi, nel campionato 2008-2009, in uno stadio di Marassi che sembrava la polveriera dei tempi migliori?
Gasperini non poteva che impartire una lezione di calcio ai bianconeri che con Del Piero, Trezeguet, Buffon, stavano cercando di risalire velocemente i gradini delle serie A. Quel pomeriggio a Marassi, un juventino a metà ma con la maglia rossoblù, come l’ala Palladino, fece impazzire la Juve e al suo gol l’entusiasmo di Gasperini, vecchio allenatore della Primavera juventina, torinese di Grugliasco, razza Piemont, dura e pura nello stile e nell’aplomb calcistica, fu un po’ sopra le righe. Il pugno chiuso dall’alto in basso, più volte, la giravolta verso la sua panchina al gol decisivo, mentre la Nord era una diga che si apriva facendo traboccare il tifo più rivendicativo degli ultimi anni, dopo le pene, le sofferenze, le condanne, le partite di serie C con il Pizzighettone, la Pro Sesto, in campi sconosciuti, dove giochi senza neppure il nome del giocatore sulla maglia e dove i minuti di recupero non sono neppure segnalati con la lavagna luminosa…