La scaletta non dovrebbe discostarsi troppo da quella del 92 – 94, in cui fummo guidati dai governi di Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi: un po’ di aumento della pressione fiscale e misure depressive varie, un po’ di cambiamenti delle regole del mercato del lavoro, un po’ di privatizzazioni, ovviamente, date le condizioni dei mercati finanziari, a prezzi di saldo.
Sono le cose che forze sovrannazionali ci vogliono imporre di fare, che Berlusconi ha cercato di non fare e che nessun partito politico che voglia continuare a esistere vorrebbe fare. Visto anche il risultato del precedente passaggio della sinistra alla guida del risanamento, appare saggia la decisione del Pd di non raccogliere il bastone di comando che Berlusconi ha dovuto lasciar cadere. Quali che siano le scelte del nuovo governo, saranno di quelle che fanno perdere voti, o da una parte o dall’altra.
Il precedente esperimento fece fare buoni affari a chi aveva i soldi per partecipare alla festa delle privatizzazioni, portò a sensibili miglioramenti per l’Italia. Fu accompagnato anche da un drastico calo dei tassi di interesse a livello mondiale, che ebbe salutari effetti sui nostri mutui e i nostri debiti in banca, oltre che sul debito dello Stato. Ma tutto questo non bastò e dopo quattro anni da comitato di salute pubblica ci trovammo Berlusconi a capo del governo.
La nomina di Mario Monti a primo ministro, al di là delle polemiche sui suoi legami con Goldman Sachs, la cupola della finanza globale, e anche le perplessità che suscitano alcune indicazioni sui possibili ministri (meglio il rettore della Cattolica della Gelmini alla Pubblica istruzione?) appare nella migliore tradizione italiana. Incapaci di scelte politiche condivise, gli italiani del passato si rivolsero a guide esterne, i podestà, nei secoli sostituiti da sovrani stranieri
La terapia l’ha già scritta Mario Draghi (anche lui ex di Goldman Sachs): riduzione della spesa pubblica, maggiore facilità dei licenziamenti e conseguente aumento del lavoro precario a scapito di quello forse eccessivamente garantito, aumento dell’età pensionabile, riduzione dei costi (stipendi inclusi) e snellimento (con mobilità dei dipendenti) della pubblica amministrazione, nonché privatizzazioni, liberalizzazioni, che sono poi uno dei terreni principali di scontro fra Berlusconi e i suoi avversari internazionali.
Ma tra prescrivere una cura e far guarire il malato, ammesso che l’Italia sia poi davvero così malata, c’è di mezzo la somministrazione delle medicine. È tutto da vedere cosa farà Monti, a sua volta stretto tra le indicazioni della Bce e un parlamento, espressione di partiti, che prima o poi dovranno presentarsi ai loro elettori.
Il nodo è tutto intorno a quella lettera inviata in agosto dalla Bce a Berlusconi e alla sua reinterpretazione da parte di Berlusconi, fatta in modo tale da potere aggirare i temi più controversi.
Uno dei punti critici sarà quello di fare cassa e qui ci sono due modi, uno, a breve termine indolore, quello di vendere i “gioielli” dello Stato, aziende e immobili; l’altro, quello di spremere soldi dai cittadini, assai impopolare in un paese dove la pressione fiscale è tra le più alte del mondo, si chiami il nuovo balzello patrimoniale o super Ici.
Un altro punto dolente sarà la rescrittura delle regole del lavoro, sia dei dipendenti pubblici, da un secolo garantiti da privilegi finora intoccabili, sia di quelli privati. Ci si sono fatti male tutti, Berlusconi incluso.
