(Segue dalla terza puntata sulla Repubblica Romana)
Contro 21 mila uomini dell’esercito borbonico, fra maggio e giugno un manipolo di volontari e avventurieri guidati da Giuseppe Garibaldi salpò dallo scoglio di Quarto, a Genova, il 5 maggio del 1860 e in pochi mesi riuscì a liberare Palermo e tutta la Sicilia dal giogo dei Borbone e dall’odiato Regno di Francesco II.
La vittoria di Garibaldi fu un mix di intelligenza militare e di eroismo dei volontari. Al successo delle camicie rosse contribuirono non solo le qualità strategiche di Garibaldi, ma anche l’insurrezione contadina in Sicilia, che permise di muoversi senza difficoltà su un terreno sconosciuto, protetti dalla popolazione e rafforzati dai volontari del luogo (“picciotti). In Sicilia, infatti, la predicazione democratica aveva fatto breccia fra ampie schiere di contadini, commercianti, artigiani, nei quali era ormai forte il desiderio di riscatto sociale e anche politico.
Prima dell’arrivo dei Mille c’era un clima da resa dei conti tra la popolazione e la sbirraglia borbonica. Vi erano continui cortei e manifestazioni spontanee di dissenso al governo di Napoli, acclamazioni invece di Vittorio Emanuele II. Le voci di un imminente arrivo dell’Eroe dei due Mondi avevano alimentato le speranze di molti.
A concepire il progetto di una spedizione nell’isola furono inizialmente due siciliani esuli in Piemonte, Rosolino Pilo e Francesco Crispi. Nell’aprile del 1860 Pilo accorse nell’isola già percorsa da fremiti insurrezionali mentre Crispi convinse Garibaldi ad assumere la guida dell’iniziativa. Alla decisione di costituire un corpo di volontari accorsero più di mille persone.
Il primo ministro del Regno di Sardegna, il conte di Cavour, apertamente ostile al progetto, paventava ripercussioni a livello non solo internazionale, ma anche interno. Temeva, infatti, che l’allargamento a sud mettesse in pericolo il suo disegno di ingrandimento dello Stato, che doveva però avvenire sotto il pieno controllo del Parlamento. L’appoggio di Vittorio Emanuele II all’iniziativa, però, non permise al primo ministro di opporvisi con successo; anzi, una volta avvenuta, Cavour non potè che dare all’impresa tutto l’aiuto diplomatico possibile.
Il problema politico. A Palermo il 4 aprile 1860 era scoppiata un’insurrezione popolare organizzata da patrioti mazziniani, che avrebbe dovuto fornire l’occasione per un’azione armata di ampia dimensione: il suo fallimento (costato la condanna a morte a tredici patrioti) non spense le attese, anzi, vari focolai insurrezionali si diffusero nelle campagne dell’isola.
L’8 aprile Garibaldi accettò l’invito rivoltogli da Francesco Crispi e Nino Bixio di muovere verso l’isola con un gruppo di volontari. Il re di Sardegna Vittorio Emanuele II e il primo ministro Cavour rifiutarono di sostenere la spedizione, ma in realtà la controllavano e la finanziavano con armi ed equipaggiamenti.
Cavour, in particolare, si rendeva conto che la sconfessione dei propositi di unificazione di Garibaldi avrebbe indisposto ancora di più gli italiani, dopo la perdita di Nizza e della Savoia. Quindi cercò di barcamenarsi fra un velato appoggio ai garibaldini e un ufficiale presa di distanza da qualsiasi attentato alla sovranità di uno Stato straniero.
La partenza da Quarto. Garibaldi e i suoi fidati luogotenenti, nel frattempo, avevano raccolto numerose adesioni di patrioti provenienti un po’ da tutta la penisola. Il 28 aprile potevano contare già su 500 uomini. L’Italia era piena di volonterosi, vogliosi di aggregarsi ai veterani dei Cacciatori delle Alpi per combattere sotto la sua guida. Sarà Garibaldi stesso a parlare di “Mille” ma questo numero, che passerà alla storia, non fu mai verificato: nessuno sa di preciso quante fossero le camicie rosse a bordo delle due navi che salparono quel 5 maggio da Quarto, la Piemonte e la Lombardo. Forse 1150 uomini (60 sbarcheranno a Talamone), sicuramente una sola donna, la moglie di Crispi, Rosalia Montmasson.
A largo degli scogli di Quarto, 6 km da Genova, ormeggiavano le navi per la spedizione dei Mille.
La stele che ricorda l’impresa dei Mille dallo scoglio di Quarto (Genova)
Garibaldi salirà al comando del piroscafo Piemonte, Nino Bixio alla guida del Lombardo. Si parte rotta a sud. Le prime impressioni dei garibaldini sono di Giuseppe Cesare Abba, scrittore e patriota ligure che si unì ai volontari a bordo del Lombardo:
“Navigheremo di conserva, ma intanto quelli che montarono sul Piemonte furono più fortunati. Hanno Garibaldi. I due legni si chiamano Piemonte e Lombardo; e con questi nomi di due province libere, navighiamo a portare la libertà alle province schiave. Noi del Lombardo siamo un bel numero. Se ce ne sono tanti sul Piemonte, arriveremo al migliaio. Chi potesse vedere nel cuore di tutti, ciò che sa ognuno della nostra impresa e della Sicilia! A nominarla, sento un mondo dell’antichità”.
Le navi si dirigono verso la Sicilia ma senza sapere ancora in quale parte dell’isola sbarcare. I siciliani a bordo erano 45. Novecento e più i lombardi, veneti, liguri e toscani. Professionisti e intellettuali in gran parte (avvocati, medici, farmacisti, artisti, ingegneri) il resto operai e artigiani e un gran numero di Cacciatori delle Alpi, reduci dalle recenti battaglie vittoriose della Seconda Guerra d’Indipendenza.
“Si odono tutti i dialetti dell’alta Italia – scrive nelle sue memorie Cesare Abba – però i Genovesi e i Lombardi devono essere di più. All’aspetto, ai modi e anche ai discorsi la maggior parte sono gente colta”. Fra la gente colta vi era anche lo scrittore Ippolito Nievo.
Per procurarsi nuove armi la mattina del 7 maggio le navi approdano a Talamone (che dopo l’annessione della Toscana era territorio del Regno di Sardegna). Dalla vicina Orbetello, Garibaldi si fece dare armi, polvere da sparo e viveri.
La spedizione è raffazzonata: i patrioti soffriranno fame e sete e molti di loro viaggeranno in piedi, perché non c’è nemmeno posto per sedere. Nel mare siciliano incrociano sei navi da guerra borboniche in attesa della spedizione ma Garibaldi le beffa, seguendo una rotta più esterna, verso Occidente…
(Continua…)