La vicenda che vide protagonista Maroni รจ stata invece ricostruita da Gianni Barbacetto in un articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano e ripreso da Dagospia: “Era il 18 settembre e Bobo Maroni era davanti alla sede della Lega Nord in via Bellerio, a Milano. Alle 7 del mattino la polizia si era presentata a perquisire, a Verona, uffici e abitazioni di Corinto Marchini, il capo delle “camicie verdi”, e di due leghisti a lui vicini, Enzo Flego e Sandrino Speri. Gli agenti erano stati mandati da Guido Papalia, procuratore della Repubblica di Verona, che stava indagando sulla Guardia Nazionale Padana, sospettata di essere “un’organizzazione paramilitare tesa ad attentare all’unitร dello Stato”. Marchini aveva un ufficio anche in via Bellerio, a Milano. Cosรฌ due pattuglie della Digos veronese arrivano alle 11 alla sede della Lega e tentano di entrare. Invano: i militanti leghisti impediscono l’accesso. Tornano il pomeriggio, con un provvedimento integrativo di perquisizione. Riescono a fatica a entrare nell’androne, ma lรฌ sono fermati da un cordone di leghisti, tra cui Maroni, che impedisce l’accesso alla scala. Spintoni, parapiglia. Alla fine i poliziotti sfondano e riescono a salire”.
E sarebbe stato proprio a questo punto, secondo il racconto di Barbacetto, che l’attuale ministro dell’Interno si sarebbe contraddistinto: “Il primo vero e proprio episodio di violenza”, annotano le cronache, “รจ compiuto da Maroni che tenta di impedire la salita della rampa di scale, bloccando per le gambe gli ispettori Mastrostefano e Amadu”. I due si divincolano e salgono, con tutti i loro colleghi. Ma la squadra Maroni non si ferma: insegue gli agenti, li copre d’insulti, tenta di bloccarli con la forza. I cori ingiuriosi sono diretti da Mario Borghezio, mentre “numerosi atti di aggressione fisica e verbale nei confronti dei pubblici ufficiali” sono compiuti da Maroni, ma anche da Umberto Bossi e Roberto Calderoli: “Episodi tutti documentati dai filmati televisivi”.
Poi l’atto finale: “Con fatica, gli agenti arrivano davanti all’ufficio di Marchini che devono perquisire. Lo trovano sbarrato. Sulla porta, un biglietto scritto a macchina: “Segreteria politica – Ufficio on.le Maroni”. La porta รจ sfondata. “Operazione che tuttavia era ostacolata violentemente” da Maroni, Bossi, Borghezio, Calderoli e altri, “che aggredivano principalmente il dottor Pallauro e l’ispettore Amadu, il quale veniva stretto fra gli imputati Maroni, Martinelli e Bossi, che lo afferrava dal davanti, mentre il Martinelli lo prendeva alle spalle”. La guerriglia finisce con un malore: Maroni “viene disteso a terra dall’agente Nuvolone, per poi essere avviato al pronto soccorso, ove gli venivano riscontrate lesioni per le quali sporgeva querela”.
All’episodio seguรฌ un processo, nel quale Maroni fu riconosciuto colpevole di resistenza a pubblico ufficiale. E fu anche dimostrato che tentรฒ di mentire, con l’intenzione di attribuire la colpa dell’aggressione ai poliziotti.
Ricapitolando, chi รจ senza peccato scagli il primo sanpietrino. Poi se la polizia o i giudici impongono foto segnaletiche, impronte digitali e compagnia bella, puรฒ sempre fare una dura nota di protesta. “Un comportamento assurdo, ingiustificato, sproporzionato e al limite, arbitrario degli agenti di polizia, una indebita prevaricazione e persecuzione”: son parole di Fini, non di un collettivo studentesco. Ed era il 1993, non il ’78. Pardon, il ’79.
