ROMA – A Lampedusa le prime due navi che dovrebbero portare via dall’isola i migranti, la San Marco e la “Catania” della Grimaldi, sono in rada. Per ora è sbarcato Berlusconi, c’è lui sul molo. Promette, assicura, giura che in due giorni, due giorni e mezzo l’isola sarà “liberata”. In garanzia offre “il mio essere avvezzo a risolvere i problemi”. Qualcuno mormora “come a Napoli a L’Aquila, come la munnezza e il terremoto”. Molti fanno silenziosi scongiuri. Per i lampedusani Berlusconi ha portato doni: “zona franca, moratoria fiscale, previdenziale, bancaria”. E pure, per non apparire di braccino corto, la proposta di insignire l’isola del “Nobel per la pace”. Ricordandosi di una lettura su Kennedy, Berlusconi si identifica e affilia: “Anche io sono lampedusano…Ho comprato qui casa, si chiama Due Palme, a Cala Francese”. Prova anche a stupire con effetti speciali: “Per fermare gli arrivi ho comprato pescherecci, così non li usano per venire. Quando smetto di fare politica metto in piedi un’attività di pesce fresco”. Tranne la stretta corte che accompagna il premier non sorride nessuno. I migranti, i profughi, i clandestini? Quelli che sono sull’isola: “Li spediamo tutti in Tunisia”. Detto! Anche fatto?
Tra il dire e il fare c’è la Francia che scarica i tunisini sull’Italia, inesorabilmente li blocca a Ventimiglia che sta diventando, parola di sindaco, una specie di Lampedusa di lassù. Tra il dire e il fare c’è il Nord d’Italia che scarica i tunisini, e anche i somali, gli eritrei e i libici sul Sud d’Italia: il “fuori dalle palle” pronunciato da Bossi 24 ore dopo è chiaro che significa fuori dalle palle del Nord. Si è sempre “merdionali” di qualcun altro, si è sempre “Lampedusa” di qualcuno che sta più al Nord. Tra il dire e il fare c’è anche la Tunisia, la vecchia Tunisia che aveva accordi con l’Italia per accettare il rimpatrio di un pugno di persone al giorno e la nuova Tunisia che a Maroni e Frattini non ha garantito nè concesso il rimpatrio di massa. Tra il dire e il fare ci sono quelle navi che ci sono ma ancora non tutte, ancora non imbarcano e soprattutto ancora non sanno che rotta fare dopo aver imbarcato.
Stando alle stime fornite dal governatore della Sicilia Lombardo “sulla sola Lampedusa sono arrivate ad oggi circa 20mila persone, numero che potrebbe aumentare enormemente”. Per capire quale sarà il destino di queste persone, e per orientarsi tra le opzioni che ha in mano al Governo per risolvere questa spinosa situazione, bisogna in primis analizzare la composizione di quei 20mila citati da Lombardo, e per far questo bisogna identificare ogni singola persona in modo da attribuirgli un’identità e una nazionalità. Prima tappa per tutti quindi i centri provvisori di accoglienza.
La maggioranza dei migranti approdati sinora in Italia sono tunisini, uomini e donne che quindi non hanno diritto allo status di profughi o rifugiati politici, ergo rimpatriabili. Il trattato bilaterale tuttora in vigore con Tunisi impone all’Italia di rimpatriare non più di quattro persone ogni giorno, ma in queste ore è stato sottolineato come questo numero fosse sufficiente quando le rotte erano state chiuse con i pattugliamenti marittimi, certamente non adesso. E dunque è proprio sulla base delle nuove esigenze derivate dalla crisi dei Paesi del Maghreb e dalla guerra in Libia che si chiede una collaborazione delle autorità locali in cambio degli aiuti allo sviluppo nel settore del turismo e della consegna di mezzi e apparecchiature per un totale che sfiora i 300 milioni di euro. La trattativa è in corso, mediazione affidata al finanziere Tarak Ben Ammar che già venerdì scorso – durante la visita dello stesso Maroni e del titolare della Farnesina Franco Frattini – aveva rivestito il ruolo di negoziatore così come gli era stato richiesto dal premier Silvio Berlusconi. L’accordo in cui spera il Governo prevede che in Tunisia vengano rimpatriate subito alcune centinaia di persone per arrivare a mille entro la fine della settimana, ma per far questo è indispensabile l’ok delle autorità tunisine altrimenti la strada dei rimpatri sarà chiusa.
I tunisini che nel nostro paese sono sbarcati non sarebbero certo felici di essere riportati a casa loro. In realtà il loro desiderio non è però nemmeno quello di rimanere in Italia, la loro destinazione ultima è, almeno nelle loro teste, la Francia. Nel paese transalpino vive infatti una nutrita comunità tunisina, molti dei migranti giunti hanno lì parenti e amici e, oltretutto, quasi tutti i tunisini parlano il francese. Da qui nasce la “questione Ventimiglia”. Nella cittadina ligure si stanno infatti ammassando in gran numero i tunisini che vorrebbero passare il confine. Ma la Francia non li vuole. “Fino all´altro ieri – dice il questore di Imperia Pasquale Zazzaro – la Francia ne ha rimandati indietro 470”. I sopravvissuti alla traversata dal Nordafrica e ai campi di Lampedusa tentano di passare in tutti i modi. In treno con regolari biglietti per Nizza, a piedi lungo l´Aurelia oppure rischiando la vita camminando sulla massicciata della ferrovia a pochi centimetri dai treni. Sono tornati all’opera anche i passeur, pochi italiani e molti nordafricani che ripercorrono i sentieri di montagna usati per il contrabbando. Ma più che per i boschi i passeur agiscono sulla strada nascondendo i clandestini in auto e furgoni. Negli ultimi tre giorni ne hanno già arrestati tre. In ogni caso sono pochissimi quelli che ce la fanno. I più vengono presi, ammanettati e rispediti in Italia. Rilasciati pochi metri oltre il confine come in un vecchio film di spie.
E l’Italia, sapendo che difficilmente potrà rimpatriare tutti i tunisini, chiude un occhio e consente più o meno apertamente a questi immigrati di lasciare i centri di accoglienza. Questa “larghezza di maniche” serve a due cose: così facendo viene leggermente “diluita” la situazione all’interno dei centri stessi e, contemporaneamente, serve a metter pressione alla Francia e all’Europa nella speranza che intervengano anche loro nella gestione dei migranti.
Ma non ci sono solo i tunisini che vogliono andare in Francia. Ci sono anche i somali, gli eritrei e i libici. Pochi ad oggi, ma non è detto che sarà sempre così. E questi hanno diritto allo status di profughi, di rifugiati politici, perché vengono da paesi in guerra e non si può quindi rispedirli a casa. Bisognerà trovargli una sistemazione.
Che siano tunisini o libici, profughi o immigrati clandestini sono persone, migliaia, che una volta identificate vanno sistemate più o meno temporaneamente. Il Governo sta lavorando all’individuazione dei siti adatti ad ospitarli. Alcune tendopoli sono già attive, come quella di Manduria, in Puglia. La Difesa ha presentato una lista di 13 siti “disponibili” e la palla è ora in mano al ministro Maroni alle prese con un difficile rebus: l’incrocio delle possibili destinazioni dei migranti con la prossima tornata di elezioni amministrative che si avvicina. Bossi ha espresso la sua alta dottrina politica con l’ormai celebre “Fora da le ball”. Mente. Sa il Senatur che non si possono rimpatriare. Quello che intende è “fuori dal Nord e soprattutto dal Nord dove si vota”. L`elenco che suscita tormenti a Bossi ha la Lombardia in testa. È la regione dove si vota in assoluto di più in termini di comuni e di elettori: 237 città, due comuni importanti come Milano e Varese e due province, Mantova e Pavia. Ed è certo che la ragione guidata da Formigoni dovrà dare un contributo all’emergenza-immigrati anche se il sito provvisoriamente individuato – Castano Primo in provincia di Milano – forse sarà cambiato e anche se i 9mila previsti saranno forse qualcuno in meno, è scontato che in pieno territorio padano arriverà una piccola Lampedusa. A Mantova, roccaforte rossa dove la Lega vuol tentare il colpaccio, il candidato leghista trema: “lo dico chiaramente che la nostra base è in fermento, chiede di essere drastici, di mandarli via. Temo ricadute non positive su di noi anche se ci siamo schierati contro il conflitto in Libia mentre il Pd lo ha sollecitato”. Situazioni da evitare prima di una tornata elettorale dunque. Stessa storia in Veneto dove si vota nella provincia di Treviso, sempre con un candidato del Carroccio, e a Rovigo. Anche lì le trattative serrate con il leghista Maroni per tentare di dirottare gli immigrati sui siti più a Nord, per esempio in Trentino, unica regione con le urne chiuse. E c’è poi il Piemonte: 147 città votanti, in prima fila Torino, poi Novara e Vercelli. Anche qui ci sono due siti “ballerini” in provincia di Torino e soprattutto c`è un governatore leghista.
Per il momento le Regioni che hanno dato di più e dove sono stati individuati più siti sono la Sicilia – si vota in 28 città ma la data non è ancora fissata – e la Puglia che potrebbe contribuire con due siti in provincia di Taranto e Foggia e dove si voterà in 61 città. Capitolo a parte invece è la Toscana, regione rossa, in lizza per accogliere gli immigrati con due siti (uno in provincia di Pisa, l`altro di Massa Carrara) e che ha una tornata di amministrative molto impegnativa: 34 comuni tra cui Siena, Grosseto, Arezzo e Lucca. Incastro complicato e delicato con un’opinione pubblica non certo tenera nei confronti delle migliaia di migranti arrivati in Italia, “accoglienza sì ma non a casa mia”. Ipocrisia italica, comprensibile sentimento di preoccupazione, comunque lo si definisca rimane un problema che non si risolverà né con le navi di oggi nè in breve tempo, e le elezioni sono alle porte. A Lampedusa Berlusconi ha lasciato il molo, ha levato l’ancora. Qualche ora delle “massimo 60 e poi tutto sarà risolto” è già trascorsa. I ventimila, quasi tutti tunisini, non andranno né tutti né in fretta in Tunisia, la Francia li ributta in Italia, in Italia non si sa dove metterli e, se li si mette da qualche parte, tocca nasconderli alle popolazioni. E si arriverà a cinquantamila, lo ha detto Maroni. E saranno gli altri libici, eritrei, somali, profughi che hanno diritto di restare. Ma non al Nord che Bossi non vuole e in nessun luogo che l’Italia più o meno tutta non sopporta. Sui pescherecci che si è comprato Berlusconi?