I rom in Europa sono circa dieci milioni. Che ne facciamo? Sarkozy e Berlusconi sono per “buttarli fuori”. Non lo dicono con queste precise e crude parole i premier di Francia e Italia. Ma la sostanza è quella, “sostanza” che era scritta nero su bianco nella circolare del Ministero degli Interni francese alle autorità di polizia: c’era scritto “rom” e non “soggetti pericolosi” o “persone dedite alla criminalità”. C’era scritto nella versione originale, prima che il governo francese lavorasse di “sbianchetto”, cancellando la parola ma non l’ordine impartito. Per Bossi e per milioni di altri italiani e decine di milioni di altri europei la differenza in realtà non c’è. Dice il leader della Lega: “Sono loro, i rom, quelli che rubano”. Opinione spesso suffragata dall’esperienza e benedetta da un consenso di massa. “Buttarli fuori” dunque. Ma buttarli dove? “A casa loro” è la risposta che monta e ingrossa nella voce e nelle azioni dei governi, Francia e Italia in testa. Ma “casa loro” è l’Europa, dove stanno già: più dell’ottanta per cento dei rom è “stanziale”, abita e vive da tempo nei paesi da cui li si vuole allontanare, qualcuno di loro ha anche la rispettiva cittadinanza. L’Unione Europea lo fa notare a Parigi e Roma, la commissaria Reding accusa la Francia di “deportazione su base etnica”. Sarkozy replica con l’argomento caro all’uomo della strada: “La Reding se li prenda a casa sua, in Lussemburgo”. Ne nasce una lite tra Barroso e Sarkozy al pranzo delle delegazioni europee a Bruxelles: “Non potete permettervi di parlare così della Francia e alla Francia”. “La Francia non può fare il comodo suo e ignorare le regole di civiltà europea”.
Liti a parte, il “buttarli fuori” presenta alcuni, diciamo così, insormontabili problemi tecnici. Primo: quel “fuori” non si sa dove sia. Fuori dall’Europa è impossibile. In Africa, Asia, America? Passare dalla parole ai fatti mostra l’impraticabilità concreta del “buttarli fuori”. Quindi il “buttarli fuori” diventa in concreto buttarli da una nazione all’altra. La Francia fuori dalla Francia, l’Italia fuori dall’Italia…e via una nazione contro l’altra. Per questo, anche se non solo per questo la Germania e molti altri paesi dicono no al “buttarli fuori”, ognuno da sè e ognuno per sè. Si intona a questo punto l’altro coro, l’altro “mantra”: “i rom devono diventare questione europea”. Lo dice ad esempio spesso e volentieri Berlusconi ma anche Zapatero. Che vuol dire in concreto farli diventate “questione europea”? Dividersi in quote i dieci milioni di rom? Men che mai, all’Italia che ne ha in casa circa 150mila, toccherebbe se fosse applicato un criterio proporzionato alle popolazioni, una “quota” di rom di circa un milione. Bossi e l’opinione pubblica italiana darebbero in escandescenze. Vuol dire allora che il bilancio europeo e non quello dei singoli Stati deve pagare il costo di…Di cosa? Di assisterli proprio no perchè le opinioni pubbliche rifiutano di pagare assistenza ai rom. Vuol dire che l’Europa deve pagare i costi del “buttarli fuori”, i mezzi di trasporto, l’assegno di incoraggiamento a sloggiare? Forse sì, ma si torna al “sloggiare” per mandarli dove?
E come sloggiarli? Anche qui un problema “tecnico”. Dieci milioni, a “buttarne fuori” mille al giorno ci vogliono trenta anni. E anche incrementando, facendo viaggiare al massimo regime la catena dello “sloggio”, tremila al giorno, ci vuole un decennio. Un decennio di operazioni di polizia, pullman, treni, aerei. Un gigantesco problema logistico. Senza considerare poi che le pubbliche opinioni che concordano in larga misura sul “buttarli fuori” estenderebbero volentieri il concetto e la pratica. In Europa ci sono circa trenta milioni di immigrati. Alcuni appartengono ad etnie e culture “sospette” e “ostili”, insomma non si integrano e danno fastidio. Diciamo che di quei trenta milioni due su tre sono diventati o stanno diventando buoni europei, ne restano altri dieci da “buttare fuori”. Infatti, per dirla con Bossi, non “rubano” solo i rom…E poi gli islamici, non tutti ma parecchi, vatti a fidare, chi ci vuol vivere a fianco?
Venti milioni da “sloggiare” se si accetta e si pratica la voglia e la politica del “buttarli fuori”. Un dannato problema. Anche a non volersi fare problemi “buonisti”. Anche a non volerli considerare esseri umani con i diritti, proprio tutti, degli altri umani, anche senza i piagnistei dei “buonisti”, come si maneggiano, si incartano e si espellono venti milioni di unità a due gambe e due braccia?
Un problema simile, solo tecnicamente simile per carità, se lo pose e lo affrontò una settantina di anni fa un’altra Europa. Arrivarono allora alla conclusione che “buttarli fuori” era tecnicamente impossibile e troppo dispendioso e che la conclusione logica del problema era eliminare il problema. La fredda logica porta a questa conclusione. Conclusione che Sarkozy e Berlusconi e Bossi e tanti altri giustamente si indignano se la si attribuisce loro. Conclusione che le opinioni pubbliche che vogliono “buttare fuori” respingono con sincero sdegno. Ma conclusione conseguenziale se si sposa e si benedice e si invoca e si pretende il “buttarli fuori”, i rom e quegli altri.
Ecco perchè il “buttarli fuori” è stato in Europa per mezzo secolo un tabù. Nessuno osava pronunciarlo perchè da lì una volta si era partiti. E da lì si è ripartiti anche oggi. Perchè è caduto il tabù. Perchè è un tabù che nella storia regolarmente cade. Allora fu la grande crisi economica e la grande miseria del dopo 1929 a spingere le opinioni pubbliche a votare in massa chi li “buttava fuori”. Oggi i partiti del “buttar fuori” raccolgono il 14 per cento in Danimarca, il 16 per cento in Olanda, il 17 per cento in Ungheria e avanzano ovunque nei grandi paesi europei. E’ stato calcolato che ogni punto di Pil in meno quasi automaticamente si traduce su scala continentale in un due per cento in più elettorale per le forze del “buttar fuori”. Quando la ricchezza complessiva diminuisce la gente, in particolare quella a basso reddito, ceto operaio in prima fila, prende paura, cerca un nemico e chiede protezione. Alla destra politica, alla destra che promette di “buttar fuori”. I ceti meno abbienti non cercano solo protezione, esigono anche punizione. Lo si è visto in piccolo ad Adro, dove le “mamme” non si sono accontentate che qualcuno pagasse i debiti verso la mensa scolastica dei figli di “quelli”, hanno voluto che “quelli” fossero puniti e si sono indignate e opposte a che qualcuno togliesse con un assegno l’occasione della “punizione”.
Succede oggi anche negli Usa dove il movimento dei Tea Party si mangia il partito repubblicano, dove la destra tradizionale fatica, anzi viene travolta dalla voglia di “punizione” portata avanti soprattutto dai ceti a basso reddito. E’ sempre successo nella storia: qualche volta finiva relativamente bene (la plebe romana che liquida il Senato e la Repubblica e sceglie l’Impero e l’Imperatore). Qualche volta finisce molto male come in Europa negli anni trenta del secolo scorso. Succede e in Europa era stato stabilito un tabù perchè non succedesse più. Tabù che per quasi mezzo secolo è stato un muro. Ora è caduto, ora dal crollo sale solo polvere. Domani chissà, domani il muro potrebbe essere ricostruito, più elastico e “intelligente”. Oppure domani, scavalcate le macerie del muro, qualcuno potrebbe pensare, invocare, a fil di logica concludere che la “soluzione finale” no, ma una soluzione “semifinale” è quel che ci vuole.