Le avversarie del Milan, tra chi non ha voluto, chi non ha saputo e chi non ha potuto concorrere, sono rimaste tutte indietro. Non ha voluto l’Inter, ebbra di trofei e priva di stimoli. Pronti via, orfana di Mourinho, si è presentata ai nastri di partenza con una squadra troppo uguale a quella del triplete e con un allenatore troppo diverso. Rafa Benitez ha capito subito che non era aria. Mourinho poteva permettersi il lusso di far giocare Eto’o terzino, a lui non era neppure concesso il lusso di arretrare un qualsiasi giocatore di un metro per trovarselo contro. E’ finita con una sorta di congiura interna e un’infermeria sospettosamente piena. Benitez è riuscito a fare il minimo sindacale (il Mondiale per club) prima di “auto-esonerarsi” sparando contro Moratti sperando di essere cacciato. Il presidente, dopo un periodo da “oscurato” causa Mou, non aspettava altro. Poi è arrivato Leonardo. Moratti ha scelto l’azzardo. Ha voluto fare al Milan e a Berlusconi il dispetto supremo: sfilargli il tecnico ex, quello del calcio col sorriso e del modulo dell’amore. A sorridere, però, è stato il Milan. Leonardo ha rimesso in piedi la baracca, è vero. Però alla resa dei conti la squadra è arrivata spompata e in tre giorni ha cestinato scudetto e Champions. Soprattutto rimane la sensazione di una rifondazione da avviare, di un anno “sciupato” per non voler inizare a cambiare da subito. Un esempio? Le offerte da urlo per Maicon e Milito di quest’estate. Moratti non ha voluto cederli e ora, ad Appiano Gentile, c’è chi si mangia i gomiti.
Per un Inter che non ha voluto c’è un Napoli che non ha potuto. Premessa d’obbligo: la squadra di Mazzarri è la sorpresa vera della stagione, è rimasta in corsa fino a 7-8 giornate dalla fine, andrà in Champions diretta. La sensazione, però, è che il Napoli abbia fatto non il massimo, ma qualcosa di più. L’anno di Cavani, nella sua perfezione, ha il rischio dell’irripetibilità e la sensazione di essere più forti di quanto si sia davvero, nel lungo periodo è pericolosa. Ci vorrà tutta l’intelligenza di De Laurentiis: la Champions richiederà investimenti mirati su settori chiave della squadra. Intanto, la prima spia di un piccolo allarme è proprio Mazzarri, tentato dalle sirene della Juventus. Si dice e si legge che il tecnico sia convinto di essere arrivato a fine ciclo, di aver fatto il massimo. Un allenatore che rinuncia alla Champions, se fosse vero, sarebbe un segnale su cui riflettere.
Non ha saputo, invece, la Roma che dopo cinque stagioni spese a tallonare l’Inter, nell’anno in cui i nerazzurri hanno ceduto, si sono scoperti vecchi e logori, afflosciati tra crisi tecnica e da una società fantasma. Gli errori capitali sono stati due: indugiare con Ranieri in panchina quando era chiaro che la squadra non lo seguiva più e temporeggiare per un periodo indefinito prima di arrivare al cambio di società. Ancora oggi, poi, sono più gli interrogativi che le certezze. Pensare che l’assenza di una società non incida sul campo è quantomeno ingenuo. Quando tutto era già perduto è arrivato, nello scetticismo generale, Vincenzo Montella. Per ora registriamo con cautela che da quando c’è lui in panchina Totti è come risbocciato e la Roma si è messa a marciare con un passo accettabile. Certo, però, la squadra è completamente da ricostruire. Per Thomas DiBenedetto un lavoro lungo e non senza difficoltà.
Quanto a Lazio, Udinese e (nonostante qualche proclama di inizio anno fuori misura) Juventus loro giocavano un altro campionato. Il Milan era fuori portata e fuori portata è arrivato. Lassù, sul tetto d’Italia.