Dal principio condiviso che nessuno li vuole neanche dipinti, coerentemente discendono dogmi di governo e di opinione tanto obbligatori quanto impraticabili. Primo: tenerli tutti sotto chiave. Nel “contenitore” Lampedusa fino a che si è potuto, ora nei contenitori Manduria o Mineo, domani in altri contenitori. Ma comunque sotto custodia, insomma impedire loro di andare in giro. Ad ogni costo, anche se la gran parte di loro in Italia non vuol restare, anche se vogliono andare in Francia soprattutto e anche in Germania, per l’Italia non bisogna farli girare. Ma se, come dice Maroni, saranno cinquantamila e anzi Maroni dice che questa è stima al ribasso, una “prigione” sia pur temporanea per cinquantamila e più di cinquantamila in Italia non c’è, non si può fare.
E’ questione tecnica e non buonista: “contenitori” con guardie e barriere da cinquantamila e passa non sono organizzabili e gestibili. E’ così, lo sanno anche al governo. Però non si può dire, agli italiani non si può dire perché il secondo comandamento, dopo quello che non li vuole nessuno neanche dipinti è che l’unico immigrato buono è quello rinchiuso. Quindi la muscolare e stentorea ricerca dei “contenitori” è una quadriglia senza costrutto reale. Lo stesso schema, ingigantito, degli sgomberi dei campi rom. Che sgomberi di fatto non sono, sono traslochi: li levi da qui e li metti lì, poi li levi da lì e li metti là …Però nel frattempo la gente di qui e lì è contenta. Si turba la gente di là è vero, e allora si fa ricominciare il giro.
Contenitori per cinquantamila e passa non sono possibili ma non si può dire perché dice il vero Bossi quando dice che il governo deve fare quel che “la gente dice al bar”. E al bar la gente dice che vanno rinchiusi, che non li vuole vedere. Bisognerebbe dire alla gente, imporre alla gente che cinquantamila e passa non puoi tenerli rinchiusi, anche e proprio perché non te li vuoi tenere in casa. Identificarli, permesso di soggiorno e transito temporaneo e quindi procedure di espulsione. Ma dire e fare questo è faticoso, difficile, impopolare. Ingestibile in un paese che ha paura del nemico immigrato. E’ la versione italiana di una paura europea, la versione domestica di una più diffusa paura. Tutta l’Europa coltiva e nutre la paura del “si stava meglio prima”. La paura inespressa ma visibile che sicurezza, petrolio e barriera all’immigrazione la garantissero meglio i Mubarak, i Gheddafi, i Ben Alì. Meglio di quelli che stanno venendo al posto loro. Di qui incertezze su chi sia il nemico o l’amico nel Mediterraneo.
La versione italiana di questa paura è il terrore dell’immigrato, non a caso battezzato “invasore”. Scandalo, sdegno morale? Chi ribatte al terrore con le ragioni dell’accoglienza e dell’umanità parla al vento e talvolta a vanvera. Nella storia non è “mostruoso” o inconsueto che una popolazione sviluppi e metta a coltura i semi e le piante della xenofobia. Succede spesso, è successo tante volte, sta succedendo ancora. In Italia come e più che altrove. E’ un’onda che non puoi prendere di faccia, di prua: ti rovescia e ti affonda. Ma non puoi neanche cavalcarla quest’onda, prima o poi ti sommerge. Andrebbe impugnato il timone: fondi e provvedimenti speciale e temporanei per quei cinquantamila, nessuna illusione di rinchiuderli o di farli sparire agli occhi della gente, setaccio per farne restare alcuni e lento ma decisi rimpatrio per gli altri. Ma chi lo tiene il timone, chia azzarda questa rotta in Italia? In coperta e nella stiva sono tutti impegnati e convinti a gridare che il nemico-immigrato non passerà , magari tenendolo al largo con le navi di “un armatore”: navi per cinquantamila e passa. Ma chi lo dice o lo pensa sa contare?
